
Una volta, si diceva “verba volant, scripta manent” a sottolineare come le chiacchiere, leggere con granelli di polvere, se le porta via il vento, motivo per cui è sempre meglio lasciare traccia, per iscritto, di quel che si dice. Da qualche tempo, però, in Italia e in buona parte del mondo occidentale, sta accadendo qualcosa di strano e inusuale anche alle parole scritte. Scivolano, letteralmente, dalle pagine sulle quali sono restate per anni, decenni, addirittura secoli, come se qualcuno le avesse imburrate alla stregua di teglie per dolci, per finire dritte dritte nella spazzatura, superate e surclassate da nuove parole che prima che scritte sono urlate, declamate, diffuse con mezzi di comunicazione tradizionali e digitali, spesso interpretate da attori, protagonisti e non, in fumose e applauditissime conferenze stampa.
Parole che, indipendentemente dal loro rapporto con la famigerata “gerarchia delle fonti” diventano per tutti legge, per il semplice fatto di essere assunte e accettate, da tutti, a tenore di legge. Cosicché per quei pochi memori dell’esistenza di precedenti regole scritte e di rango tale da essere considerate “fondamenti” della Repubblica, non resta che prendere atto che nessuno dei poteri dello Stato, soprattutto di quelli messi là appositamente per far rispettare e garantire la nostra Carta Costituzionale e le leggi in ordine decrescente di forza e importanza, si ricorda del proprio compito e dell’investitura ricevuta dal “popolo sovrano”.
Oggi, si sente parlare di democrazie in crisi riferendosi a quel “mondo occidentale”, libero e pieno di valori meravigliosi, di cui fa parte anche il nostro Paese. Un gruppo di Stati che si sono talmente innamorati della loro immagine da essere pronti a fare la fine del buon Narciso, senza considerare più alcun tipo di legittimo contenzioso morale con nessun altro Paese del mondo, etichettato in anticipo come arretrato, tirannico, anti democratico o comunque in qualsiasi altro modo utile a metterlo, fin dal principio, al di sotto della presunta superiorità democratica occidentale.
Perché, quindi, si parla sempre più spesso di democrazia in crisi? Secondo qualcuno (sedicenti giornalisti opinionisti che assediano gli studi televisivi da anni, per esempio), le nuove sfide del XXI secolo non sono gestibili con il modello democratico fin qui conosciuto, in quanto troppo laborioso e troppo farraginoso, con tutte quelle inutili “rogne” di maggioranza, opposizione, pareri, diritti delle minoranze, opinioni contrapposte, fiducie ed emendamenti a profusione. Insomma, vuoi mettere un bel personaggio con pieni poteri, al quale dare totale credito per gestire qualunque problema, sfida o cambiamento, senza dover passare dal vaglio di leggi, parlamenti, giudici e popolo votante? Tutto fila più liscio, lineare, senza perdite di tempo dovute ad inutili confronti sui punti di vista. Per cui, in attesa di arrivare a questa situazione ottimale (o ci siamo arrivati già?), l’Italia ha fatto un bel po’ di pratica con quella che potremo definire una forma di governo basata su un’oligarchia partitocratica denominata, per comodità e per non confondere troppo le tenere menti della popolazione, “democrazia”.
Posto che verosimilmente la democrazia, nella sua piena ed originaria accezione, è morta più o meno il giorno dopo che l’hanno inventata nella Grecia antica, fin dalla sua prima applicazione pratica, anche le versioni successive, inclusa quella che abbiamo adottato in Italia con la Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948, sono state mal sopportate da coloro che, di volta in volta, sono saliti al governo utilizzando i sistemi elettivi in auge, spingendoli in più riprese a modificare regole e leggi appositamente per restringere, progressivamente, il “peso” dell’ingerenza popolare nelle dinamiche di gestione del potere.
Siamo così giunti, con le ultime versioni delle leggi elettorali, a strutturare pseudo scelte in pseudo elezioni che hanno costituito un parlamento composto, sì, da quasi 1.000 persone, le quali, però, neanche per un attimo hanno ipotizzato di agire come esseri pensanti e autonomi nella gestione del loro mandato elettorale ricevuto dai cittadini. Nella pratica, infatti, i partiti hanno scelto chi presentare e, di conseguenza, chi far eleggere, hanno poi creato “gruppi parlamentari” con un apposito capogruppo, che segue le direttive del partito in ogni decisione sottoposta alla Camera e al Senato e le comunica (e le impone) ai componenti fatti eleggere nelle proprie file al momento del voto. Ecco chiarito il senso dell’espressione “oligarchia partitocratica”. Poche persone decidono e, per di più, queste persone (e i loro ciechi seguaci) sono scelte dai partiti nazionali (e non, realmente, dagli elettori).
Non sarebbe meglio, a questo punto, giocare a carte scoperte e smetterla di pagare 950 schiacciabottoni a comando e avere una Cameretta dei Deputati con 15 seggioline e la consapevolezza di chi è che decide per tutti? Si risparmierebbero un sacco di soldi, la situazione sarebbe più chiara e trasparente e comunque si potrebbe garantire la pluralità di voci e di opinioni, e distribuire il “peso” delle preferenze espresse per i vari partiti dal popolo coinvolto in nuove e più “sincere” elezioni, distribuendo a quelle poche persone elette l’equivalente, in millesimi, dei voti finora espressi in aula da tante manine schiaccianti e da “pianisti” costretti a virtuosismi da circo per saltare da un banco all’altro del Parlamento.
Ovviamente, tutta questa rivoluzione democratica, non appena avremo finito con i balletti delle emergenze, per gestire le quali è doveroso affidarsi all’attuale ARISTOCRAZIA, che, guarda caso, letteralmente vuol dire “governo dei migliori”.
Sandro Scarpitti