
La scomparsa di Silvio Berlusconi lo scorso 12 giugno sarà probabilmente considerata dai politologi la fine della Seconda Repubblica, perché lui più di ogni altro l’ha segnata con la propria presenza sulla scena politica. La discesa in campo: la fulminea scalata che lo portò alla vittoria del 1994 irruppe con una nuova modalità di far politica: diversa in tutto dal reclutamento, alla base elettorale. Riportò in questo campo l’esperienza maturata da palazzinaro prima e da manager televisivo poi. La classe politica – tranne gli eredi del PCI – era stata spazzata via da Tangentopoli. Aveva la necessità imprenditoriale di riempire direttamente lui stesso il vuoto lasciato da chi lo aveva garantito in passato nei momenti cruciali – per superarne gli ostacoli – della sua scalata commerciale degli Anni ‘80. In fondo di lì a poco a votare sarebbero andare intere generazioni cresciute a colpi di Colpo Grosso, Drive In, Puffi… tirati su dalla tv come un’appendice delle agenzie di formazione tradizionali.
La politica aveva bisogno di una gigantesca operazione di marketing – anche solo di maquillage, nel senso di immagine – che la facesse sembrare lontana da chi poteva vantare a sinistra la presenza sui territori, l’apporto dell’intellighenzia e sbandierare la questione morale, senza esserne travolti come accaduto a tutta la DC e PSI. Lo spiegò lui stesso nel 1993: “Non mi piace immaginare una classe politica. È questo il punto: sarebbe auspicabile che la carriera politica non esistesse più, almeno come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi… una casta politica, composta da professionisti della politica, da politici di professione. A governare dovrebbe essere chiamato chi, essendo affermato in una professione, dopo aver governato possa tornare a svolgerla come prima.”
Quello che accadde dopo lo ricordiamo tutti la vittoria nel 1994 su Achille Occhetto. Stessa sorte sarebbe toccata a tutti i leader del centrosinistra – da Rutelli a Veltroni – che gli si opposero nelle tornate elettorali successive fino all’ascesa della Meloni. Con un’unica grande eccezione: Romano Prodi. Il berlusconismo ha impazzato prima e imperato poi facendosi a suo modo sistema: anticomunista, godereccio e spinto (senza contare il discredito puro a livello internazionale per il modo di trattare le donne), sempre attento al ritorno imprenditoriale nella convinzione che arricchisse il Paese tutto. Affidatevi a me che ho vinto sempre negli affari, nello Sport – in puro spirito panem et circensem – anche per la politica e perdonatemi tutto.
Berlusconi ha dominato questa stagione politica fino alle prime elezioni in cui ha vinto il centrodestra senza che lui ne fosse il leader indiscusso. Senza cambiare il mood per quasi 25 anni, in un eterno lifting: apparire più giovani per durare. Una sorta di elisir della giovinezza politica che è passato dalla calza sulla telecamera alle barzellette su Tiktok, passando per bandane, canzoni e tanto altro. A dire il vero la prima spallata era arrivata dalla vittoria del Movimento 5 Stelle, proprio 5 anni prima: l’antipolitica fatta sistema e non solo propaganda aveva sbaragliato tutti strappando più del 30% dei consensi. Non potevano governare da soli: prima venne il governo giallo-verde, poi quello giallo-rosso. Berlusconi mai preso in considerazione: sempre contro. Poi le stelle hanno cominciato a splendere politicamente sempre di meno ed oggi sono relegati ad un ruolo di comprimari nelle opposizioni, come Forza Italia lo è nella maggioranza. Questo fino a quando nel 2023 è scomparso il corpo politico intorno a cui ha girato la giostra negli ultimi 30 anni, lasciando come erede nel suo schieramento una leader che non ha scelto lui – Giorgia Meloni – mentre il fronte opposto è in “cerca d’autore”. In ogni caso è finita un’epoca: è finito il berlusconismo, perché come nessun leader politico è stata la sua presenza a creare il mito politico, croci e delizie comprese. Ora non resta di capire se la Terza Repubblica sarà a vocazione leaderistica come il centrodestra a stampo berlusconiano o affollata di diverse personalità come a sinistra o a trazione democristiana.
Angela Oliva