Home Canali La polemica Quando il cattivo diventa meno cattivo. Punti di vista tra fiction, storia e cronaca

Quando il cattivo diventa meno cattivo. Punti di vista tra fiction, storia e cronaca

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Quando il cattivo diventa meno cattivo. Punti di vista tra fiction, storia e cronaca

Impazzano da qualche anno, dalla tv generalista alle varie piattaforme di intrattenimento online, film e soprattutto serie tv che, prendendo spunto da specifici fatti di cronaca o da contesti e vissuti quotidiani, sviluppano la loro trama raccontando di crimini di ogni genere e di delinquenza (più o meno) organizzata. Qualcuno potrà immediatamente obiettare come questa non sia affatto una novità e che si potrebbero citare, in pochi istanti, numerosi film, anche tra quelli prodotti per il grande schermo, e diverse “fiction” molto datati e nati da analoghe ispirazioni. E avrebbe ragione. 

Ogni storia, però, in funzione del protagonista e, quindi, del suo punto di vista, può raccontarsi in molti modi. I fatti, grossomodo, potrebbero risultare sempre gli stessi, ma di certo la scelta di esplorare le ragioni o le motivazioni dell’uno o dell’altro dei personaggi, farebbe cambiare, e in alcuni casi radicalmente, il cosiddetto “racconto”. Senza scomodare, per adesso, nessun titolo in particolare o regista e autore famoso, per comprendere questa, chiamiamola, sottigliezza potremmo far riferimento persino alla famosa fiaba di Cappuccetto Rosso. Basterebbe infatti pensare al cambio di narrazione, e quindi di “racconto”, se i medesimi accadimenti della fiaba fossero visti e vissuti attraverso gli occhi, la mente e “la pancia” del lupo. I fatti stessi, probabilmente, si arricchirebbero di episodi e situazioni completamente trascurate nel racconto noto a tutti, ad esempio, iniziando dal risveglio mattutino del lupo, dopo una notte passata ad ululare alla luna, di malumore e con lo stomaco vuoto da tre giorni consecutivi di caccia mal riuscita. Quello che però, maggiormente, risulterebbe modificato, se non addirittura stravolto, sarebbe la percezione del lettore rispetto ai valori, anche morali, dei protagonisti. Lo stesso dualismo protagonista/antagonista potrebbe ribaltarsi, portando il lettore, secondo le intenzioni del narratore, a prendere le parti, immedesimarsi, “fare il tifo”, per questo o per quel personaggio del racconto.

Ecco, quindi, emergere la variabile principale in grado di differenziare “il succo” di un racconto, il tenore della trama e degli accadimenti, capace di indirizzare la lancetta del bene e del male, giusto e sbagliato, ammirevole e disdicevole, eroico e criminale, verso il lupo o verso la bambina incappucciata e disobbediente: l’intenzione del narratore. Colui che conosce i fatti nella sua totalità e decide, secondo una propria volontà, di strutturare l’intero racconto con un preciso obiettivo. Gli sarà sufficiente introdurre un giudizio, espresso o implicito, ad uno dei fatti o affibbiarlo al personaggio che si vuole etichettare, in positivo o in negativo, “et voilà” il gioco è fatto. 

Se nelle “favole” propriamente dette la volontà dell’autore (che è quindi anche narratore della vicenda che ha “inventato”) è correttamente strutturata con il fine di arrivare ad una certa “morale della storia”, motivo per cui ogni artificio letterario utilizzato a tal fine è più che legittimo, quando si tratta di articoli di giornale, di dossier, di film o serie tv, ispirate da fatti reali, o peggio ancora che dicono di ripercorrere pedissequamente la nuda cronaca dei fatti, le intenzioni del narratore (che diventa traduttore degli accadimenti per il pubblico dei lettori, ascoltatori e spettatori) assumono un altro e più delicato ruolo. Se consideriamo, ad esempio, l’ormai datata fiction LA PIOVRA, coraggiosa trasposizione filmografica dei drammi legati alla vita quotidiana nei luoghi della mafia, la narrazione tende generalmente a esprimere biasimo assoluto e condanna alle condotte criminali, senza “se” e senza “ma”, distinguendo nettamente i personaggi positivi da quelli negativi, i buoni dai cattivi. E anche quando con crudezza descrive e mostra quanto spietata possa essere una certa criminalità organizzata, lo fa per trasmettere allo spettatore, come un pugno nello stomaco, quella stessa violenza al fine di spingerlo, quasi a costringerlo, ad uno sforzo empatico mirato a condividere le sorti, e le emozioni, delle vittime, aggrappandosi perciò al valore e allo sforzo dei “giusti” contro i “cattivi” della storia.

Provate a paragonare quello che ho appena descritto sopra con la narrazione che trovate in due serie tv degli ultimi anni, prese a riferimento di questo paragone, e ditemi se qualcosa non è cambiato: Gomorra e Romanzo Criminale. Intanto, consideriamo chi sono i protagonisti della storia. Non è certo un omologo del commissario Cattaneo interpretato da Michele Placido, attraverso i cui occhi tutta la trama prende forma e assume, soprattutto, “valore”. Certo, ci sono anche quelli là, i poliziotti, i commissari, i giudici, quelli che fanno parte dello Stato e che, come sicuramente sarà nella realtà, non sono sempre (o solo) i “buoni” della storia. I protagonisti, però, sono gli altri. Quelli che una volta avremmo chiamato soltanto i cattivi, gli “antagonisti”. Queste nuove serie tv sono interamente incentrate su di loro, provando a far entrare lo spettatore all’interno del loro modo di pensare, alle dinamiche tra queste persone, i loro “valori”, evidenziandone propositivamente (e a volte anche positivamente), l’indole, la determinazione, la forza, il potere. Ma anche la prepotenza, la sfacciataggine, la violenza, la spietatezza. Personaggi elevati al rango di protagonisti mentre gli antagonisti sono “quegli altri”, che li inseguono per lo più senza successo o che anche quando riescono a prenderli, poi, non ottengono quello che dovrebbero da una giustizia connivente o bloccata e raggirata dalle stesse leggi che dovrebbe far osservare. Il pubblico arriva a fare il tifo per i cattivi, li apprezza, sceglie il proprio beniamino tra quelli della “famiglia” dei Savastano o dei Levante, mentre i buoni restano solo strumentali allo svolgimento della storia finalizzata a raccontare di loro, della malavita organizzata, di come tiene in scacco lo Stato e di come fa il bello e il cattivo tempo in alcuni luoghi della nostra penisola.

La nuda cronaca dei fatti, probabilmente, è sempre una chimera, perché anche al più scrupoloso dei giornalisti, essere umano con un suo sistema valoriale (più o meno apprezzabile), può bastare scegliere un aggettivo, un avverbio o costruire una frase in forma attiva o passiva, per “veicolare” volontariamente o inconsciamente, la percezione del lettore verso una conclusione che egli stesso, nel suo profondo, ha già tratto. Figuriamoci cosa è possibile fare quando, nei titoli di apertura di una fiction o di un film, appare la scritta “ispirato a fatti realmente accaduti” o si decide di parlare genericamente di situazioni che sono, purtroppo, all’ordine del giorno.

In questo scenario, è emblematico il caso dello scrittore Roberto Saviano. Autore del “romanzo ispirato a situazioni reali”, Gomorra, vive sotto scorta dal 2006 per le minacce di morte ricevute dalla stessa camorra che aveva denunciato sia dalle pagine del suo libro sia durante il suo lavoro di reporter. Saviano ha sempre sostenuto che la camorra non ha apprezzato il fatto che si sia acceso un grosso faro sui propri affari, mettendo in luce nomi di famiglie, attività, interessi e legami con altri personaggi e pezzi grossi della vita pubblica e politica italiana, in particolare della Campania. Roberto Saviano, a partire da Gomorra, il libro, ha anche partecipato alla stesura di uno omonimo spettacolo teatrale, scritto da Mario Gelardi, e ha predisposto la sceneggiatura dell’omonimo film, diretto da Matteo Garrone, vincitore al Festival di Cannes del Gran Prix Speciale della Giuria. Opera teatrale e film hanno portato diversi, e meritati, premi a questo lavoro di Saviano. Poi, Gomorra ha iniziato a cambiare pelle. È arrivato un progetto per trasformare il libro, ormai film, in una serie tv, di cui Saviano è stato ed è tuttora consulente e supervisore. La prima serie è andata in onda tra il 2014 e il 2015, tra pay tv, prima, e tv in chiaro (Rai3) poi. Nel gruppo dei registi, spicca il nome di Stefano Solima, che aveva già diretto la serie Romanzo Criminale (che prima era stato un film diretto da Michele Placido, vi ricordate il Commissario Cattaneo della Piovra? Ecco, proprio lui) sulle “gesta” della famigerata “banda della Magliana”. Un altro caso di successo cinematografico e televisivo dei “nuovi eroi” cattivoni ma tanto affascinanti, fighi e attraenti, capaci di esaltare i numerosi fan con le loro strabilianti peripezie. Gomorra alla fine del 2021 ha concluso la sua “quinta stagione”. Cinque, ben cinque, stagioni.

E sappiamo tutti come funzionano le serie e quanto sforzo di fantasia e inventiva gli autori (e i supervisori) debbano mettere in campo per tenere in piedi la trama, alimentarla e perpetuarla per le esigenze di budget e di pubblico. Insomma, la sensazione che le motivazioni e le “intenzioni” che inizialmente avevano animato Saviano nella stesura del suo romanzo di denuncia abbiamo cambiato un po’ direzione, si fa sempre più pressante. La stessa sensazione che si raccoglie tra il pubblico degli spettatori amanti della serie, ed entusiasticamente pronti ad accogliere ogni nuova stagione, è particolarmente stravolta rispetto all’obiettivo di far percepire la camorra come qualcosa di abietto, schifoso, esecrabile. Non si tratta più neanche di lasciare accesso un faro sugli “affari di famiglia” della malavita organizzata campana, per dare fastidio a qualcuno, visto che “pare” che addirittura alcune famiglie della camorra abbiamo, orgogliosamente in salotto, delle copie del romanzo “Gomorra” con alcune pagine aggiuntive che trattano di loro e dei loro affari (ma sarà sicuramente una fake news).

Insomma, Saviano ha fatto delle scelte nella sua vita di giornalista e scrittore che, di certo, non l’hanno messo in una bella e tranquilla posizione. Progressivamente, le sue scelte lo hanno esposto ed egli stesso è diventato un personaggio, via via più divisivo, tra sostenitori adoranti e detrattori dubbiosi. In qualità di personaggio, ha parlato di tante cose, si è ulteriormente esposto, accogliendo volentieri il ruolo di maître à penser che ha interpretato soprattutto in tv, in programma fatti apposta per lui o nelle sue ospitate alla corte di Fabio Fazio. Ha scelto di dare il suo benestare e la sua collaborazione attiva ad un progetto, quello della serie tv Gomorra che, ovviamente, non avrebbe potuto mantenere intatte le intenzioni originarie legate al romanzo omonimo né alle sue denunce contro la malavita campana. Scelte rischiose, per le quali, però, è anche un attimo passare da coraggioso cittadino capace di denunciare quello che, sotto gli occhi di tutti, era cronaca di quotidiana omertà, al ruolo (sicuramente involontario) di addetto stampa e promoter della malavita organizzata.

Sandro Scarpitti

 

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