Miopi come le talpe, autolesionisti come i lemmings

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Il settore dei pubblici esercenti dopo due anni di emergenza sanitaria

 

Lo so: per le talpe non è corretto parlare propriamente di miopia e per i lemmings, la storia che siano avvezzi al suicidio di massa, è una esagerazione sensazionalistica, tipica della disinformazione imperante dei nostri tempi. Ciò non di meno, altro titolo non mi è sembrato più adatto a riassumere, in meno di dieci parole, due anni di osservazione del settore dei pubblici esercenti, di tutti quei locali cioè che, da che mondo è mondo, vivono e prosperano in funzione dei loro avventori.

In principio fu… il lockdown! Un paio di mesi di chiusure forzate per tutti, o quasi (Autogrill?), ben poche possibilità di fare business (asporto) e la “potenza di fuoco” di mille mila milioni di euro promessi dal governo a titolo di “ristoro” per perdite subite e mancati guadagni. E già in quel frangente, proprio guardando all’ammontare e alle procedure degli aiuti di Stato destinati, in concreto, a ciascun operatore del settore, qualche primo dubbio sulla capacità (e sulla volontà) di sostenere efficacemente gli esercenti pubblici sarebbe dovuto sorgere. 

Gli eroici esercenti dei locali nostrani, però, capeggiati dalle loro associazioni di categorie, sull’attenti e al grido “signorsì, signor Presidente (del Consiglio)”, si sono impegnati strenuamente per essere pronti alle riaperture estive e, soprattutto, per la ripartenza autunnale, quando cioè già si paventava l’arrivo di una seconda ondata per la quale, però, “tutti”, dichiaravano, si sarebbero fatti trovare pronti. Al sopraggiungere dell’autunno, ci si è ritrovati, invece, punto e a capo, nonostante mascherine di ogni genere, indossate anche all’aperto, e con tutte le spese “per lavorare in sicurezza” sul groppone. Reazioni? Ben poche e per lo più fatte di chiacchiere da social. Anche i pochi tentativi di fare rete per adottare qualche atteggiamento comune e diffuso di “disobbedienza civile”, è stato boicottato e marchiato come “incivile e incosciente” (con Gandhi, Nelson Mandela e Martin Luther King che si rivoltavano nelle loro tombe).

Da allora, è passato un altro anno e non passa sera che, alla tv, non ci siano dei pubblici esercenti che continuano a parlare senza trovare una voce unica che ne rappresenti, realmente, il principale e fondamentale diritto a svolgere la loro attività, in quanto imprenditori, lavoratori e datori di lavoro. Dopo aver accettato anche la conditio sine qua non del lasciapassare verde (e pure rinforzato) per avere la certezza di lavorare, dopo 4 mesi abbondanti di “ripartenza”, la realtà ha presentato un conto salatissimo a questi operatori che, sicuramente in buona fede (i più), hanno creduto alle dichiarazioni di presidenti (del consiglio come dell’associazione di categoria di turno) e adesso, si sono accorti di ritrovarsi in un lockdown di fatto, ma con i costi di un’attività aperta, sì come una ferita, che continua a dissanguarli. Aperti senza clienti e pure senza i ristori. Questa pandemia li ha spinti, ormai, tutti sull’orlo della scogliera e, se non inizieranno a cercare la verità un po’ più a fondo e a guardare un po’ più in là del naso, facendo fronte comune e provando a riprendere, uniti, le redini delle loro attività, scoppierà il caos. Ed è per colpa del caos, non per istinti suicidi naturali, che tanti lemmings, di solito, ci rimettono le penne.  

Sandro Scarpitti

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