Le antologie scolastiche curate dai grandi scrittori italiani

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Antologia, una parola che ci riporta alla scuola. Libro di lettura inevitabile, ha lasciato in ciascuno di noi ricordi diversi. Ma è poco noto, se non ignoto, che nei decenni che vanno dall’inizio del secolo al 1980, la quasi totalità dei maggiori scrittori italiani abbia compilato antologie.

Il primo ad avere aperto la strada è un nome illustre: il Conte Giacomo Leopardi. Nel 1827, presso l’editore Antonio Fortunato Stella, a Milano, esce Crestomazia Italiana cioè scelta di luoghi insigni o per sentimento o per locuzione raccolti dagli scritti italiani in prosa di autori eccellenti d’ogni secolo. Si tratta di due volumi in brossura, copertine leggere color paglierino. Il prezzo: 5 lire.

Nell’avvertimento il curatore spiega: «Della utilità dei libri di questo genere si è ragionato in Francia ed in altre parti più e più volte […] ne abbiamo anche nella lingua italiana un buon numero […] ma tutte sono lontanissime da quello che io mi ho proposto che debba essere questo libro.» Un testo che non è propriamente per la scuola, ma destinato ai giovani italiani studiosi. Tutte le opere scelte sono in prosa, di scrittori eccellenti d’ogni secolo, e, dice Leopardi «io medesimo ho letto tutta intera ciascuna delle opere che sono citate.»

Il libro doveva essere contemporaneamente uno strumento utile ad apprendere l’arte della scrittura e stimolo importante per appassionarsi allo studio, coltivando il piacere della lettura. È questa la prima definizione di antologia moderna.

Dopo Leopardi furono molti gli autori che ne emularono il lavoro: Fornaciari (1829), Tommaseo (1841), Troya (1846), Scavia (1870).

Poi arrivò Carducci. Nel 1885 a Bologna vengono stampate le Letture italiane: l’antologia scolastica prende una connotazione precisa: italianità e nazionalità. Il Bel Paese, del resto, era da poco unito. L’indirizzo non farà che progredire nei decenni a seguire. In particolare, con l’affacciarsi del Fascismo, l’educazione scolastica diventa una grande opportunità di formazione e conferma della dottrina.

Nel 1923 fu realizzata la riforma della scuola Giovanni Gentile, dal nome dal ministro dell’istruzione del governo Mussolini. La preminenza data agli studi classici fu netta, ancor di più la spinta allo studio della letteratura. Insegnanti, scrittori, case editrici, furono tutti coinvolti. La propaganda fascista era onnipresente.

Nessuno si sottrasse e furono tanti: Grazia Deledda, Alfredo Panzini, Piero Bargellini, Giuseppe Prezzolini, Corrado Alvaro, Mario Puccini, Diego Valeri, Antonio Baldini, Luigi Russo, Pietro Pancrazi e Giuseppe De Robertis, Massimo Bontempelli, Carlo Muscetta e Mario Alicata.

Dopo la “stagione gentiliana”, le antologie scolastiche cambiano pelle e si reinventano, toccando livelli qualitativi notevoli. Sono due i curatori che spiccano sugli altri avvicinando l’antologia a una concezione più familiare a quella a cui oggi siamo abituati: Italo Calvino e Franco Fortini.

Negli anni Sessanta, Calvino pubblica presso Zanichelli La Lettura, un’antologia per la scuola media, in tre volumi, per le rispettive classi. Insieme a lui l’accademico Giambattista Salinari e un gruppo di insegnanti d’italiano.

I criteri e gli obiettivi del lavoro sono innovativi: insegnare a leggere e scrivere; analizzare il linguaggio (della poesia, del romanzo, del genere epistolare e del teatro); proporre letteratura d’evasione e quella che insegna a sostenere una tesi; aprire a forme d’espressione moderna quali cinema, teatro, fumetti.

Dice Calvino: «Si è voluto fare soprattutto una antologia divertente che rappresentasse il piacere di leggere.»

Franco Fortini, invece, cita un verso di Dante per il titolo della sua raccolta: «Vedi che sdegna gli argomenti umani.» (Purgatorio, II, 31)

Vede la luce Gli argomenti umani, un’antologia che si basa sui fatti storici dall’età dell’illuminismo a quella attuale.

Le proposte indicano: «Autori consacrati, ma molti altri che non avevano varcata la soglia della scuola.» E più avanti: «Come si salga dalla coscienza nazionale a quella europea e mondiale. Come la voce dei poeti, la rappresentazione dei narratori, l’argomentazione dei pensatori e degli uomini di scienza convergano da due secoli, attraverso conflitti e lotte, ad una meta, dove, come ha detto un poeta moderno l’uomo sia d’aiuto all’uomo.»

I testi sono divisi in tre parti: età della borghesia, età dell’imperialismo, età contemporanea.

Le suddivisioni interne contengono un’amplissima esposizione di scritti di letteratura, filosofia, storia, scienza: da Kant a Lotta per la vita in fabbrica di Volponi.

L’ultima antologia che qui propongo merita un discorso a parte. Si tratta di Ammazza l’uccellino. Letture scolastiche per i bambini della maggioranza silenziosa uscito per  Bompiani nel 1973. Il curatore è un certo Dedalus.

Già dal titolo ci si accorge che non ci si trova di fronte a una “tradizionale” antologia scolastica, anzi, potremmo pure parlare di anti-antologia. È un pamphlet di denuncia, contro i metodi e i contenuti dell’insegnamento.

Sarcastico, divertente, eccentrico. Dedalus è nientepopodimeno che Umberto Eco. Uno degli pseudonimi dietro cui si celava il celebre professore, autore del best-seller Il nome della rosa.

Già nel 1972 Eco aveva pubblicato con Guaraldi la prefazione a I pampini bugiardi, indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi delle scuole elementari che ne evidenzia chiaramente la posizione. Posizione che si può apprezzare citando alcuni estratti del bibliofilo, tratti dalle prefazioni alle antologie e da alcuni interventi sui quotidiani:

«Compito della Scuola che, come la Storia, è Maestra della vita, è educare il fanciullo alla realtà così com’è. La crisi della Scuola, minacciata dalla canea contestatrice, è dovuta al fatto che si spinge inumanamente il bambino a criticare il Mondo in cui Viviamo facendogli dimenticare che esso è il Migliore dei Mondi Possibili.» (da Ammazza l’uccellino)

Ancora: «I libri di lettura parlano dei poveri, del lavoro, degli eroi e della Patria, della storia

umana, della lingua italiana. Questa antologia tende a dimostrare che questi problemi sono presentati in modo falso, risibile, grottesco, che attraverso di essi il ragazzo viene educato a una realtà inesistente. I libri di testo dicono insomma delle bugie.» (da I Pampini bugiardi)

Infine: «L’antologista scaltro è un personaggio diffuso nel sottosuolo culturale. Estrapola pagine di scrittori morti, testi di autori vivi, lettere private, taglia, cuce. Qualche volta “prefà”. E soprattutto incassa.» (L’Espresso, marzo 1979)

Si tratta di un giudizio intransigente, non c’è che dire. Ma l’opinione vale per tutto il mondo delle antologie?

Difficile a dirsi, certo è che, se si guarda la storia dell’antologia scolastica, dai suoi esordi, fino alla contemporaneità, siamo di fronte a due mondi del tutto lontani e diversi tra di loro. C’è chi ha fatto bene, chi meglio e chi, invece, ha salvaguardato più i propri interessi. Ma non facciamo di tutta l’erba un fascio.

Il punto in comune, se prendiamo in esame almeno l’inizio e la fine, Leopardi ed Eco, è fondamentalmente lo stesso: il desiderio di aiutare i giovani ad affrontare la verità, senza condizionamenti o, peggio, manipolazioni.

Leopardi lo fece nella Crestomazia, confidando nella letteratura. Eco lo ha scritto nei suoi interventi, denunciando e condannando le falsità. 

Marco Bosio

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