Il diritto all’istruzione in Italia e nel mondo.

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La scuola è ancora un progetto di vita?

In Italia, la rinascita economica dopo la seconda guerra mondiale è stata possibile grazie alla scuola, apprezzata esperienza in quel contesto, perché permise in pochi anni di diffondere l’istruzione in una società ancora molto arretrata, offrendo ai più svantaggiati scelte lavorative diverse rispetto al lavoro della famiglia di origine, tanto da trasformare radicalmente il tessuto sociale e preparando alle successive veloci evoluzioni fino all’attuale società super-tecnologica e multitasking con tutti i risvolti del caso.

Lo sforzo di quei decenni ha visto emergere la necessità di migliorare le condizioni del lavoro in classe, per favorire l’apprendimento e la motivazione, dando valore ai bisogni degli studenti, oltre l’obiettivo della preparazione culturale, ma questa intenzione si è scontrata con il cambiamento epocale di mentalità, che nella società liquida di Baumann significa individualismo esasperato, e si traduce a scuola in competizione invece di collaborazione, in ricerca di affermazione di sé, anche senza l’impegno richiesto dallo studio, magari ricorrendo ad un diplomificio.

La scuola italiana è stata screditata dalla mancanza di riconoscimenti alla vera formazione, da ingerenze ideologiche che hanno confuso il diritto allo studio con il diritto ad un titolo di studio, comunque ottenuto e magari anche vuoto di competenze: questo è stato il terreno fertile per la crisi che sta vivendo la scuola, emersa con la DAD, ma dovuta a cause pregresse di disistima per lo studio autentico.

La Finlandia offre un modello di scuola cooperativa, in cui gli studenti migliori sono i tutor dei loro compagni, perché l’apprendimento è favorito dal buon clima di classe, ma il modello scolastico nei Paesi Asiatici ha un’impronta completamente diversa, perché la disciplina ha un ruolo predominante come indica l’obbligo della divisa scolastica, e gli studenti sono spesso sotto pressione per migliorare performance e rendimento.

Nel mondo che vorremmo, la giustizia deve essere tradotta in diritti diffusi e pari opportunità, perché l’istruzione non deve rimanere un privilegio!

 D’altra parte, in Italia occorre investire nella scuola ed evitare gli sprechi, come con il caso dei banchi a rotelle o i bonus per i docenti, che hanno portato ad acquistare computer e dintorni, ma non hanno garantito migliore qualità per l’insegnamento! Piuttosto, secondo me, bisogna valorizzare economicamente gli insegnanti più impegnati, che si aggiornano e si formano in itinere continuo, ottenendo risultati evidenti nella preparazione degli alunni.

Come saggiare le competenze acquisite? Non credo con i test Invalsi, ma attraverso esami di ammissione al ciclo di studi superiore, abolendo il valore legale del titolo di studio, perché sia chiaro che lo studio è una responsabilità personale, e il lavoro proposto dall’insegnante richiede partecipazione! 

Paola Giorgi

1 commento

  1. Sono pienamente d’accordo, a mio avviso l’insegnante è il MOTORE della scuola,
    Direi che l’insegnante che si aggiorna ed ama l’insegnamento (perché ne riconosce il grande valore), può portare un contributo inestimabile, può essere esempio e testimone dell’importanza della conoscenza, può portare gli alunni ad amare la disciplina, a scoprire i propri talenti.
    Occorre puntare sugli insegnanti, valorizzando e incentivando il loro lavoro,
    SENZA CONOSCENZA NON ESISTE PROGRESSO, FUTURO.

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