La Scuola nei ricordi e il valore attuale degli incontri

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Ogni tanto, guardando indietro alle mie scelte e alla lunga strada che ho percorso nella vita, mi viene spontaneo chiedermi se alcune decisioni, più o meno autonome, prese in passato abbiano realmente avuto un ruolo fondamentale per il “me” di ora e abbiano ancora un valore per quel “qui e adesso” di cui forse ciascuno dovrebbe interessarsi più di ogni altra cosa. Che ci si riferisca al campo lavorativo così come all’ambito personale, sicuramente la scuola è uno di quei percorsi, di lunghezza variabile per scelte e possibilità, che viene considerato cruciale nello sviluppo delle potenzialità, della consapevolezza e del sapere di ciascuno.

La scuola, per me, è stata prima di tutto un luogo di incontri speciali. In alcuni casi, di “scontri” che si sono rivelati preziosi, anche più di alcuni effimeri legami, soltanto col passare del tempo. Incontri con materie e discipline che hanno forgiato la mia mente, costringendola ad allenarsi giorno dopo giorno al ragionamento, all’analisi dei fatti e delle circostanze, alla ricerca della soluzione, al metodo scientifico propriamente detto, a sbagliare (e a ripartire dall’errore), a fallire (e a rialzarsi con grinta e coraggio), ad andare oltre le apparenze e oltre il significato letterale delle parole e dei gesti e tanto altro ancora. Incontri fortunati con quegli insegnanti ispirati, direi addirittura “vocati” per il difficile mestiere del docente e “votati” ai propri ragazzi attraverso un dialogo vero e profondo, a flusso biunivoco, capace di arricchire ambedue le parti in gioco, in ogni momento.

Mi sono spesso chiesto, lungo la strada, che senso avesse fare certe cose, studiare certi argomenti e certe materie, dovermi impegnare in esami, verifiche e interrogazioni dei quali, in quel momento, sentivo solo il peso e la fatica. Mi sono anche fatto molte domande sulla modalità che alcuni miei professori, in particolare del liceo scientifico nel quale mi sono formato, avevano di relazionarsi con i propri studenti, chi con accoglienza e gentilezza di modi chi con durezza d’animo e cinismo. Ho fatto quello che tutti i giovani fanno, etichettandoli con parole ed epiteti non sempre lusinghieri, per poi ritrovarmi oggi, alla mia età e dall’altra parte della “barricata”, a interrogarmi su quale tipo di insegnante vorrei essere, credo di essere e sono per i miei giovani allievi. E penso che, forse, tra i tanti modelli di riferimento che la memoria mi riporta, mi piacerebbe essere tra quegli insegnanti che, un giorno, un po’ per caso, in una certa vicissitudine della loro vita, quelle ragazze e quei ragazzi divenuti adulti, si ricorderanno per una frase, un aneddoto, un aforisma, che si adatta perfettamente alla situazione. Magari, per quel pezzetto di coscienza, fatta propria, che in quel momento aiuta, chiarisce, risolve o anche solamente consola.

La scuola del passato, piena di limiti e difetti come ogni istituzione umana, e come sempre di più (e peggio) viene definita anche “qui e adesso”, forse aveva di bello questo: la possibilità di fare più frequentemente degli incontri, fortunati o fortemente voluti, con persone meno artefatte e meno distratte di oggi. Meno impaurite dalla loro quotidianità, meno centrate su se stesse (per quanto lo siano, oggi, quasi più per necessità e spirito di sopravvivenza che per narcisismo o egocentrismo), meno lanciate, insieme a tutti gli altri, su quella gigantesca ruota per criceti che è la vita del ventunesimo secolo. Persone, insegnanti, compagni di classe e di banco, bidelli (che allora non era una parolaccia), genitori propri e degli amici, più fiduciose nel futuro e, per questo, più disponibili a dare un pezzetto di loro stessi agli altri, ai loro compagni di viaggio. E anche a me. E questo scritto è il mio ringraziamento che non ho mai potuto, o saputo, rivolgere a tutti loro.

Alvise Brugnaro

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