Che bello il mare, visto da quassù. In questa stagione, poi, mi piace particolarmente
D’inverno, tra una giornata di pioggia e l’altra, l’aria trasporta un profumo inebriante, che mi entra dentro e mi fa viaggiare, alla velocità della luce, in mille luoghi e in mille tempi diversi dal qui e ora. Sono passati poco più di 20 giorni dal mio ottantesimo compleanno. Un traguardo importante, gioioso e amaro insieme, come gioiosa e amara insieme solo la vita sa essere. Qualche “vecchio amico” e qualche nuovo compagno di viaggio per un brindisi al tempo che passa (ma che ancora non ci ha portato via con sé), l’amore della mia vita ancora accanto a me e l’affetto dei miei figli lontani, trasportato fino a qui attraverso le ormai onnipresenti videochiamate.
Quindici anni fa non mi sarei mai immaginato a gennaio, a mezze maniche, bermuda e ciabatte, seduto su una sdraio a guardare l’oceano, nel silenzio assordante di una piccola isola spagnola (e spagnola si fa per dire visto che siamo a meno di 100 km dalle coste del continente africano). Il nostro buen retiro non poteva che essere spagnolo, per definizione e appartenenza linguistica. Una scelta, certo, in mezzo a tante altre scelte. Non tutte possibili, però, e non tutte sullo stesso piano. Del resto, il nostro Bel Paese si è dimostrato sempre meno accogliente e soprattutto sempre meno “grato” verso chi ha lavorato una vita intera anche per far girare l’economia del Paese, non solo per sfamare la propria famiglia. E pur lavorando in due, a fine corsa, le nostre pensioni si sono ben presto dimostrate insufficienti a far fronte ai residui impegni economici ulteriori all’ordinaria amministrazione (e agli ordinari bisogni) di una coppia di anziani, forse colpevoli di essere ancora troppo vivi e troppo giovani dentro.
Da ragazzo, e nel corso della mia vita, ho viaggiato poco per mare. E quelle poche volte, ho sempre visto il viaggio come un percorso ad anello, un circuito che mi avrebbe riportato, comunque, a casa. Invece, il mare l’ho dovuto attraversare per raggiungere una nuova, e credo ormai definitiva, meta. Non abbiamo ancora deciso, io e mia moglie, se rimarremo qui “per sempre” o se vorremo trovare la pace eterna nella nostra terra, in un ultimo freddo abbraccio, vicini ai nostri cari di sempre, vivi o morti che siano. Intanto, adesso, ci godiamo questo inverno primaverile, con la temperatura che, nel primo pomeriggio, supera perfino i 24 gradi. Sembra una sciocchezza ma ha il suo “valore” anche poter vivere senza cambi di stagione e con un solo armadio a 4 ante per tutte le esigenze di 2 persone. Niente copertone né piumoni, senza scarponi e stivali, nessuna giacca che non sia impermeabile e leggera per non bagnarsi, fuori, senza fare la sauna, all’interno.
Oggi però, mentre guardo l’oceano, vedendo solo acqua a perdita d’occhio, pensando che oltre tutta quell’acqua c’è pure un altro mare che dovrei attraversare per arrivare “a casa mia”, mi assale un po’ di nostalgia. Un senso di tristezza che non trova giustificazione in qualcosa di specifico e di sensato ma che, irrazionalmente, vuole a tutti costi monopolizzare il mio cuore. Provo ad ascoltarlo meglio. Forse riesco a comprenderlo meglio. Forse non è nostalgia ma è un flebile reflusso di rabbia. Forse, se avessi davvero potuto scegliere senza ledere la mia dignità, in fondo, non sarei qua. Forse, avrei cercato un “rifugio” e non un buen retiro, un ricovero per i miei anni d’argento ugualmente accanto al mare. Ma sarebbe stato il mio mare. E adesso lo starei guardando in burrasca, con un giaccone pesante addosso, immaginandomi già al calduccio, più tardi, accanto a mia moglie, sotto un caldissimo piumone. E mi sorprenderei a sorridere da solo, senza apparente motivo, grato e felice.
Alvise Brugnaro