Lo abbiamo detto tante volte, prima della pandemia le nostre abitudini erano diverse, e anche fare la spesa lo era. Prima al supermercato potevi anche incontrare la tua anima gemella, adesso è una lotta alla sopravvivenza tra mascherine e zero contatti. Prima era bello poter scegliere con le proprie mani i prodotti e gli articoli con la data di scadenza più lontana, adesso non c’è tempo per farlo perché meno tempo si sta al supermercato e con meno persone si viene in contatto.
Ecco, allora, che la spesa a domicilio ha spopolato perché, diciamocelo, è nettamente più comodo riempire un carrello online seduti comodamente sul divano.
Il mercato della grande distribuzione organizzata, GDO, ne ha tratto un grande vantaggio. Secondo Statista, sito web che rende disponibili una serie di dati raccolti da istituzioni che si occupano di ricerca di mercato e di opinioni, nel 2018 negli Stati Uniti la quota di mercato del settore GDO online era solo del 2,7%. Nel 2019 ha raggiunto il 3,4%. In confronto l’ecommerce nel settore della moda ha toccato quote di mercato rispettivamente del 16% e del 19%, riferite agli stessi anni. Nel 2020, invece, la quota di mercato del settore della GDO online è salita al 10,2%, equivalente a un tasso di crescita del 200% su base annua.
Ma come è possibile considerando che anche durante i mesi di lockdown i supermercati sono stati aperti perché considerati servizi essenziali? Beh, la risposta è semplice. Le persone hanno iniziato ad avere paura di contrarre il virus anche al supermercato. Così la spesa online è diventata la prima scelta per molte famiglie. Emarketer segnala che, rispetto al 2019, solo negli Stati Uniti, c’è stato un aumento del 41,9% tra i clienti digitali nel settore della GDO. Un dato interessante.
Ma con la pandemia, lo sappiamo, non è cambiato solo il modo di fare la spesa. Anche il mondo dell’arte e dei musei ha dovuto reinventarsi, più volte.
Barbara Landi e Anna Maria Marras di Icom, la rete mondiale dei musei, hanno messo a confronto una trentina di ricerche diverse, nazionali e internazionali e parlano di un vero e proprio digital boom. «In tutti i sondaggi – scrivono – viene confermato l’aumento dell’offerta digitale dei musei rivolta principalmente a un’intensificazione delle attività sui social media e alla realizzazione di nuovi contenuti come tour virtuali, video e podcast».
I sondaggi hanno rilevato che il 72% delle persone ha visitato siti o profili social di musei, italiani o stranieri; i contenuti preferiti sono video (76%), foto (56%), conferenze e seminari online (34%): molto scarso il gradimento per i tour virtuali (2%), sui quali, invece, i musei sembrano puntare. Ma il dato più interessante è che il 73% di chi ha visitato siti e social si è astenuto da qualunque tipo di feedback. Questo perché la maggioranza dei musei italiani non dispone di figure stabilmente dedicate alla gestione delle attività digitali.
Quindi sorge spontanea una domanda: in futuro sarà così che si concepirà il museo? Sarà così che usufruiremo delle opere d’arte? Che si stia andando sempre di più verso un mondo digitale non vi è dubbio. Ma il museo sarò in grado di cogliere il cambiamento? O la GDO ingloberà anche lo spazio museale così come ha fatto, ad esempio, con le librerie.coop che si trovano nei centri commerciali?
Purtroppo non ci è dato saperlo.
Certo il digitale non può trasmettere le stesse emozioni che trasmetterebbero un Klimt o un Monet visti dal vero. Però attraverso la trasmissione di contenuti audio e video stimolanti e accattivanti speriamo che l’interesse per i musei e le opere d’arte vada sempre in crescendo.
Perché non è vero che con la cultura non si vive. La cultura è la linfa vitale, è ciò che spinge un letterato, un artista o un musicista a svegliarsi la mattina e a prendere quella penna, quel pennello e quello strumento per trasmettere parte della propria anima e farci emozionare.
E facciamola circolare quest’anima.
Roberta Conforte