Conosco Virginia da diversi anni. È sempre stata una ragazza piena di vita, attiva, sportiva, risolutiva, e ha sempre praticato tanti sport, dall’escursionismo all’equitazione, dalla corsa al kick boxing. Viveva in Abruzzo, Virginia, a Pescara, a due passi dal mare che sentiva come casa. Si è laureata in pieno lockdown e ha trovato lavoro in una casa farmaceutica a L’Aquila che in poco tempo è diventata una seconda casa. Continuava a correre, fare escursioni, andare a cavallo. Ma Virginia cercava qualcosa di più, che le desse più stimoli, che la gratificasse di più, che le permettesse di crescere lavorativamente parlando. Un giorno è arrivata una chiamata dalla Svizzera.
Da un anno e mezzo Virginia vive a Como, in un monolocale a piano terra, ogni mattina si alza alle 5 per poter essere a lavoro alle 8, perché per percorrere 30 km in macchina impiega 2 ore. La Svizzera è bella, non le dispiace, in pausa pranzo a volte riesce a fare delle belle passeggiate. Lavora in una casa farmaceutica vicino Lugano, è nel settore del controllo qualità. Dà il massimo anche in azienda, si tiene occupata, prende progetti e li porta a termine, ha un bel rapporto con il suo capo che ha capito il suo valore e cerca di gratificarla, con un aumento di stipendio o con l’assegnazione degli audit, le ispezioni. A Virginia questo nuovo incarico piace perché ha la possibilità di viaggiare e di non stare ferma al solito punto.
Quando non è impegnata con gli audit, passa tutto il giorno in azienda, svolge i suoi lavori con la massima attenzione, lavora ai progetti e poi si rimette in macchina e trascorre le solite due ore per percorrere 30 km. Torna a casa senza forze, Virginia, fa la doccia, mangia e va a dormire. Non va più a correre, non fa più escursioni e non va più a cavallo.
Como inizia a starle stretta, i comaschi non l’hanno accettata, si sente sempre l’intrusa, la meridionale, la terrona. In Svizzera è vista male perché, nonostante lavori nel cantone Ticino, è vista come la frontaliera che è arrivata per rubare il lavoro agli italiani svizzeri che vivono lì.
Il suo capo ha dato le dimissioni, a gennaio andrà via e tornerà a lavorare in Italia perché la vita da frontaliere non si può fare in eterno, si passa più tempo in macchina che a casa con la propria famiglia. E le ha chiesto di seguirla.
Virginia è stata chiamata dai vertici dell’azienda che le hanno chiesto a quali condizioni lei sarebbe disposta a restare lì e non seguire il suo capo in Italia.
Virginia è sopraffatta, le condizioni le ha dettate certo, ma si domanda perché le venga proposta una promozione soltanto come pegno per non andare via e non come dimostrazione del suo valore.
«Io lavoro tutto il giorno, tutti i giorni, e non è giusto che il mio stipendio sia come quello della mia collega che è qui da cinque anni e lavora meno di me. Voglio che il mio merito venga riconosciuto non solo quando il mio capo sta per andare via e vogliono convincermi a restare.».
Virginia sa che tra qualche anno tornerà in Italia perché fare il frontaliere è difficile. Perché anche in Svizzera nessuno nota se lavori bene, ma appena fai uno sbaglio sei immediatamente tagliato fuori dall’azienda. Certo, lo stipendio è più alto, ma quali sono le condizioni da pagare? «Se tanto il merito non viene riconosciuto neanche in Svizzera – dice Virginia – tanto vale restare qualche altro anno, acquisire esperienza e ritornare in Italia in modo da ottenere una posizione più alta.»
E, allora, come darle torto.
Roberta Conforte