Il Riscatto da 275 mila sterline

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C’è chi le opere d’arte le ammira, chi le studia, chi le restaura e chi le copia. Da sempre, fin da quando venne istituita la prima Accademia di Belle Arti nel 1563 a Firenze da Giorgio Vasari, gli allievi studiano le opere dei grandi Maestri per apprendere una particolare tecnica, per esercitarsi o per mettersi alla prova. Il loro metodo di studio ha sempre incluso la copia di opere d’arte originali. 

Attenzione però, a non confondere le copie con i falsi perché c’è una sostanziale differenza. Le prime possono anche essere riprodotte dall’artista stesso nelle dimensioni uguali all’originale oppure possono essere eseguite dopo la morte dell’autore per fini accademici. I falsi d’autore, invece, sono dipinti o sculture eseguiti a regola d’arte, quasi equivalenti ad un originale, ma sono, appunto, falsi realizzati con uno scopo di lucro. Realizzare un falso d’autore equivale a commettere un reato punibile con la reclusione dai tre mesi ai quattro anni. Nonostante questo, però, circa la metà delle opere presenti sul mercato sono in realtà dei falsi.

Da cosa può dipendere la numerosa presenza di falsi all’interno di Gallerie e musei? Da una scarsa attenzione degli acquirenti, forse. Dal nome che accompagna il venditore del dipinto spesso preceduto da grande fama, forse. O dal fatto che siano realizzati con assoluta maestria da essere scambiati per un Vermeer, un Van Gogh, un Manet o un Degas. Forse.

Ma tra tutti questi falsi ce ne sono alcuni che non sono realizzati unicamente per soldi. Prendiamo Tom Keating, ad esempio. Possiamo definirlo il primo onesto tra i falsari. Fu egli stesso a dichiarare di creare falsi perché credeva che nel mondo dell’arte esistesse una «moda d’avanguardia, con critici e commercianti spesso d’accordo per riempirsi le tasche a spese sia di collezionisti ingenui che di artisti poveri». Nato nel 1917 da padre imbianchino e madre donna delle pulizie, Tom Keating frequenta il Goldsmith College grazie a una borsa di studio statale e insegna pittura nel corso degli anni. I suoi primi quadri vengono notati dai mercanti d’arte che però li acquistano per poche sterline per rivenderli successivamente a dieci volte tanto. E allora Keating prepara il suo riscatto.

Nel corso della sua vita con la complicità della moglie Jane, conosciuta proprio durante una della sue lezioni, realizza circa 2500 falsi che oggi vantano la propria fama perché  Keating ha costellato ogni sua tela di piccolissimi indizi: come la sua firma microscopica, a volte seguita dalla parola fake, falso, oppure da qualche altra four-letter word (parola di quattro lettere), come gli inglesi usano chiamare le parolacce o ancora attraverso l’inserimento di miniature con il ritratto dello stesso pittore che veniva falsificato.

Il suo riscatto termina quando nel 1976, Geraldine Norman invia tredici opere attribuite a Samuel Palmer in un laboratorio per essere analizzate scientificamente. I test concludono che sono tutti falsi. Dopo cinque settimane di processo, la moglie Jane viene condannata a un anno e mezzo di prigione con la condizionale, Keating viene invece condannato a sei mesi di prigione con la condizionale. A causa di suoi problemi di salute, però, riesce ad ottenere una sospensione del processo che non verrà mai ripreso.

Dopo la sua morte nel 1984 Christie’s mette all’asta 204 tele del pittore che a fine giornata fanno ricavare 275.000 sterline.

Il riscatto del falsario Tom Keating si è concluso nel più proficuo dei modi.

Roberta Conforte

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