Il mio ricordo legato agli anni scolastici non è uno di quei ricordi felici, che fanno sorridere e commuovere allo stesso tempo quando torna alla mente. Tutt’ora, a distanza di dodici anni dalla fine di quello che per me è stato un vero e proprio incubo, non riesco a capire come possano essere rimpianti questi anni. Io non vorrei mai tornare indietro, anzi.
Sono sempre stata una bambina creativa, mi piaceva tanto disegnare e coglievo ogni momento libero per farlo. Anche durante le lezioni. Ho questo ricordo vivido della maestra di italiano che, infastidita dal fatto che non le prestassi attenzione, si è avvicinata al mio banco, mi ha preso la testa e l’ha sbattuta contro il muro. Non ricordo quali siano state le conseguenze, non ricordo se lo dissi ai miei, molto probabilmente non dovette essere un urto violento, ma agli occhi di una bambina di 6 anni questa esperienza si trasformò in un’azione dolorosissima, violenta e traumatizzante. E la testa è una scatola meravigliosamente congegnata che nasconde con il tempo tutte le parti di una storia e mantiene solo quelle che ritiene essere le più importanti.
Delle medie ho un ricordo piacevolissimo della professoressa di italiano che mi prese sotto la sua ala, mi spinse a coltivare la mia creatività e ad usarla nella scrittura. Ricordo con quanto orgoglio leggeva i miei temi davanti a tutta la classe dopo ogni compito, ricordo quante belle parole spendeva con mia madre ai colloqui con i genitori e ricordo quanto spingeva affinché prendessi gli studi classici.
Così mi iscrissi al liceo Classico.
L’insegnante di lettere del ginnasio ammazzò la mia creatività, non mi lasciava spiegare le ali durante i compiti in classe e pretendeva che seguissi alla lettera gli esercizi che ci proponeva. Con il passaggio al liceo fu anche peggio. Non ho avuto un bel rapporto con l’insegnante di latino e greco e altrettanto con quella di italiano tant’è che sono arrivata al punto di odiare queste materie e smettere di studiare. Ovviamente ne risentì la mia pagella e ne risentirono anche tutte le altre materie perché non avevo voglia di studiare più nulla.
Perché se l’insegnante non è in grado di coinvolgere l’alunno, poi si complica tutto.
Sono dell’idea che l’insegnamento non sia una strada percorribile per chiunque. C’è chi è più portato e chi no. Alcuni insegnanti sono nati per insegnare e altri diventano insegnanti perché ritengono sia la strada più semplice, perché si lavora solo la mattina e si hanno due mesi di vacanze d’estate. Perché “l’insegnante non fa nulla e si lamenta”.
Ma queste sono solo credenze.
Come figlia di un’insegnante di storia dell’arte alle scuole medie, posso assicurare che sia tutto il contrario. Ci sono i collegi il pomeriggio, le lezioni da studiare per il giorno successivo e i compiti, una marea di compiti da correggere.
Immaginate di avere sei classi di venticinque alunni ciascuna. Immaginate di dover correggere i compiti di ogni singolo alunno. Immaginate di dover vedere tanti piccoli Picasso usciti male. Immaginate di dover combattere ogni giorno con ragazzini dagli 11 ai 13 anni che scambiano le ore di storia dell’arte per quelle di ricreazione. Immaginate ora che avete speso sonno, tempo, anni e fatica per ottenere il titolo di insegnante. Immaginate che per 23 anni vi siate spostati tutti i giorni da un paesino all’altro perché siete supplenti in graduatoria per ottenere il ruolo, ma non avete abbastanza punteggio. Immaginate di dover tornare a casa in tempo per l’ora di pranzo per dare da mangiare a due figlie di 6 e 10 anni. Immaginate che dopo aver finalmente ottenuto una cattedra dovete ancora passare vent’anni ad insegnare. Immaginate che non avete più le forze che avevate all’inizio del percorso, a vent’anni. Pensate, ora, che tutti gli anni spesi sui libri e a far concorsi e a spostarvi con la macchina e a controllare continuamente le graduatorie vi abbiano portato, dopo trent’anni di insegnamento sulle spalle, in una classe nel 2022 dove venticinque ragazzini pensano di saperne più di voi e i genitori non hanno il minimo rispetto per il ruolo dell’insegnante.
Immaginate tutto questo e poi rispondete a questa domanda: “l’insegnante non fa nulla e si lamenta” è ancora un’affermazione valida?
Roberta Conforte