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Corsi e ricorsi nella storia…dell’arte!

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Corsi e ricorsi nella storia…dell’arte!

Perché periodicamente, addirittura ciclicamente, ci si pone in maniera critica o iper critica di fronte alle novità, alle iniziative di “rottura” con il passato, alle diverse forme di arte che evolvono (o, ipercriticamente, “involvono”) verso altre modalità espressive o attraverso nuovi strumenti e prodotti? 

Ricondurre questi meccanismi, di cui sicuramente siamo stati tutti involontari “attivatori” almeno una volta nella vita, alla sola “naturale avversione” al cambiamento, potrebbe essere riduttivo. Sicuramente, essendo un processo comunque “violento” che spinge ciascuno ad uscire fuori dal campo del conosciuto, e quindi del rassicurante, e del comodo (non per nulla, i tecnici la chiamano “zona di comfort”), qualcosa a che fare con la resistenza al cambiamento ce l’ha. Per la restante parte, potremmo trovarci di fronte ad una molteplicità di ragioni, e concause, di avversione al nuovo, ognuna delle quali diventa, però, parte integrante dello stesso processo di cambiamento, arrivando sia a connotare il passaggio di epoca o di stile sia ad influenzare la novità sopraggiunta, contribuendo a ridefinirla in una veste “matura”.

In ogni arte, possiamo trovare tracce di questo meccanismo, per il quale, a fronte di un momento di “rottura” dovuto all’introduzione di una innovazione assoluta e in purezza, si sono scatenate forze di segno e direzione opposta. Durante questa aspra battaglia, un ruolo determinante nel processo di “definizione del nuovo” lo assumono i “followers”, ovvero gli spettatori, gli ascoltatori, gli acquirenti e gli estimatori ad ogni titolo. Le “tensioni” tra puristi del “prima” e pionieri del “dopo”, l’azione dei mediatori naturali che, costantemente, vivono tra noi e che, da saggi eclettici, cercano di esaltare e prelevare il meglio di ogni cosa, nonché la risposta del pubblico agli obiettivi dei promotori della novità (consenso più o meno ampio, riscontro commerciale, soddisfazione e posizione personale, ecc.) contribuiscono, tutte insieme, a raggiungere lo stadio “maturo” del nuovo, che a quel punto, è già diventato un pezzetto di storia. 

Due esempi, di cui uno molto più avanti nel processo, forse già al termine del percorso, e l’altro in piena evoluzione. Nel campo delle “arti grafiche”, un caso di specie è stato quello dei “graffiti” e dei loro autori (i graffitari o writers, visto che sono nati negli States) che da atti di vandalismo veri e propri (così sono stati considerati e sono considerati ancora, a certe condizioni) hanno assunto un valore di spazio di protesta e di denuncia, per poi assurgere a forma d’arte man mano che gli autori caratterizzavano lo studio delle lettere, usando il valore e la potenza dell’immagine per richiamare l’attenzione sul contenuto dello scritto. Da quel movimento iniziale, fatto di denunce (vere e proprie), di divieti, di lotte tra crew (gruppi/bande) di zona, da quel punto di rottura si è fatta molta strada e oggi esistono, e sono riconosciuti, ben due movimenti figli di quel momento iniziale, il writing e la street art, e tanti “nipoti” connotati dall’utilizzo di una tecnica specifica, dai materiali, dai “pennelli” e dalle “tele” utilizzate e altro ancora.

Nella musica, invece, stiamo assistendo più recentemente al fenomeno trap, che in pochi anni ha prima fatto “rottura” con le sue origini (hip hop e rap), per iniziare a camminare con le proprie gambe, ed ora è in piena fase di contaminazione, tant’è che da musica di nicchia (che già a definirla musica era un gentile omaggio), ha raggiunto la massa del pubblico di giovani e giovanissimi sia attraverso meccanismi di emulazione e appartenenza tra i ragazzi, sia grazie ad un ammorbidimento di melodie, testi e suoni, finalizzati ad una crescita commerciale del movimento (e per nulla apprezzati dai “soliti puristi” della prima ora). 

Adesso, vi starete chiedendo dove sta “la polemica” in tutto questo articolo. A me sembra chiaro. La polemica è il condimento di tutto il processo sopra descritto, è la chiave della contaminazione e quindi dell’accettazione e della diffusione del cambiamento. Ed è quello che potrebbe far diventare “arte” perfino la musica trap.

Sandro Scarpitti 

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