Qualche anno fa la Ferilli in uno spot pubblicitario di un gestore telefonico diceva: “…quanto ci piace chiacchierare…”. Una volta… Oggi le nostre conversazioni sono più brevi e meno frequenti: in compenso siamo diventati tutti, con licenza poetica, dei chattari da competizione!
La prima riduzione del numero di conversazioni è avvenuta in ambito lavorativo, durante la preistoria dell’informatica, con l’avvento delle email: prima di esse si parlava molto più frequentemente per telefono e i documenti scritti erano in numero inferiore. Tutti abbiamo iniziato ad usare la posta elettronica in modo massivo, tanti lo hanno fatto per non vivere lo stress da contatto diretto con l’interlocutore e, altrettanto spesso, per lasciare traccia di qualunque cosa si fosse scambiata per scaricare qualunque responsabilità personale al riguardo. Questo è ciò che è successo alla generazione X.
La generazione Y invece è stata quella influenzata dall’avvento dei cellulari: questa generazione è quella che è cresciuta con gli SMS, che però richiedevano tempo per essere scritti (prima dell’arrivo del T9 era un massacro) ed avevano un costo di invio, perciò non li si utilizzava a cuor leggero: di qui l’uso ancora frequente delle telefonate, nelle fasce orarie economiche, sennò era un salasso! Oggi invece con i costi del traffico dati pressoché azzerati e i devices che permettono una comunicazione senza nessuno sforzo (addirittura con i comandi vocali non muovi nemmeno un dito), è un continuo messaggiare con lo smart phone, che ormai è molto poco phone…
Veniamo alla generazione Z, che secondo me ha difficoltà ad intrattenere una conversazione de visu: essendo dei nativi digitali, la loro principale forma di comunicazione è via chat. Magari usassero la linea telefonica: è solo un enorme, incommensurabile traffico dati quello su cui si basano i loro rapporti. Questo modus vivendi sta acuendo la naturale timidezza nei rapporti sociali dei giovani, i quali, protetti dalla distanza fisica, non hanno più bisogno di dover affrontare questa potenziale forma di stress: non devono curarsi del tono vocale, del loro body language, nemmeno di come sono vestiti e del luogo dove si trovano.
In funzione di ciò, tutti i modi di comunicare sono stati stravolti: ad es. siamo in campagna elettorale (purtroppo…), ma quanti comizi o dibattiti ci saranno? Pochissimi: ci saranno invece valanghe di slogan comunicati via social, accompagnati da un rumorosissimo vuoto di approfondimenti dei temi programmatici. L’aberrazione a cui può portare questo metodo di comunicazione e i relativi disastri operativi li abbiamo vissuti già nell’attuale legislatura, nella quale strillone e strilloni da mercato rionale senza arte né parte si sono ritrovati sugli scranni più nobili della nazione, grazie solo a qualche frase ad effetto scritta sul portale giusto, che ha convinto qualche decina di persone a inviare un like.
Ovviamente gli attuali metodi di comunicazione hanno degli indubbi vantaggi, primi tra tutti la velocita e l’allargamento della platea di interlocuzione: sono dei valori aggiunti ormai imprescindibili della nostra quotidianità. La domanda che mi pongo è: perché non prendere il meglio di entrambi i metodi di comunicazione, invece di escludere quasi completamente quello classico?
Le civiltà antiche hanno prosperato grazie alle conversazioni fatte in tempi, luoghi e modi adeguati. La retorica era un’arte nobilissima che distingueva le persone superiori, non solo come censo di nascita; certo, anche allora c’erano delle esagerazioni, come quelle dei sofisti. Per loro l’ars oratoria poteva permettere di sostenere tutto e il contrario di tutto, anche temi con conclusioni oggettivamente confutabili: essi addirittura venivano “assunti” per sostenere le ragioni di questo o di quell’interlocutore, cioè l’oratoria era tecnica pura al servizio delle idee di altri.
Credo che oggi una conversazione sia ancor più appagante e abbia ancor più valore proprio perchè spesso intrattenuta non per dovere, ma per piacere: è un appagamento ed un arricchimento dell’animo e dell’intelletto che le nuove generazioni devono a tutti i costi (ri)scoprire, sennò avremo sempre più gente che ha voglia di aprire scatole di tonno, di baciare prosciutti e di cercare “l’occhio di tigre”, invece di incontrarsi, parlare, confrontarsi e arricchirsi intellettualmente.
La mia conversazione ideale? Con qualcuno che mi stimoli pensieri nuovi, indipendentemente dall’ambito! Se poi la conversazione avviene in un patio e io sono seduto con un bicchiere di rhum millesimato in una mano e un sigaro Churchill nell’altra, allora potrei anche ascoltare un’intera classe della scuola dei sofisti…
Gerardo Altieri