La frase scritta nel titolo, che trae ispirazione da un proverbio keniota (“se vuoi arrivare primo corri da solo, se vuoi arrivare lontano cammina insieme”) ben sintetizza l’importanza che per me riveste il senso di comunità, qualunque essa sia.
Il concetto di comunità che più mi piace è quello sociologico, cioè quello che ha alla base la condivisione di un luogo e di linee guida relazionali, anche se ritengo piuttosto importante quello, (invero più utilitaristico) di società, alla cui base c’è prima di tutto l’interesse a raggiungere un determinato scopo, il più delle volte materiale. I due concetti a volte si intersecano, in quanto le società possono diventare comunità e viceversa.
Nella storia passata la comunità ha iniziato ad avere dignità di concetto antropologico quando, in epoca romana, la pietas è diventata un elemento del Mos Maiorum, così come l’altruismo lo era della cultura cristiana. Col passare dei secoli vari filosofi hanno dissertato dei principi che guidano la partecipazione degli individui alla comunità, ma in età contemporanea la comunità stessa e i modi di partecipazione sono velocemente cambiati: vedi le comunità virtuali.
Più in particolare, i livelli di partecipazione ad una comunità sono abbastanza costanti nel tempo e un’interessante schematizzazione è quella di David Wilcox, che li raggruppa nel seguente modo (www.partnerships.org.uk/guide/frame.htm): informativi, consuntivi, decisionali, attuativi e sostentativi. Prima di tutto sottolineo che in realtà solo l’ultimo livello di partecipazione rende una comunità veramente tale, i gradini precedenti sono invece più caratteristici di una società: per questo i due concetti di società e di comunità si intersecano e uno si trasforma nell’altro a seconda da dove parta la prima mossa.
Col tempo e col progresso tutti noi siamo diventati un po’ più egoisti e un po’ più concentrati sui beni materiali, per questo nell’ultimo periodo storico il concetto di società è, secondo me, più sentito rispetto a quello di comunità, quest’ultima più guidata dall’altruismo che non dal raggiungimento di determinati obbiettivi più concreti e oggettivi. Le varie forme di associazionismo, nate nel passato col comune denominatore di comunione prima di tutto culturale, oggi spesso hanno obbiettivi economici, finanziari e/o di networking: al riguardo non ci vedo niente di male, anzi invidio quelle nazioni in cui l’associazionismo sia base fondamentale per lo sviluppo economico, giacchè in Italia (soprattutto al sud) non abbiamo tanti esempi al riguardo. Proprio partendo dal fatto che l’associazionismo può donare un certo benessere, forse è proprio da quello che oggi si può rafforzare il senso di comunità.
Così come il concetto di comunità nei tempi passati si è trasformato in quello di società, così oggi si può fare il cammino inverso. Tutto ciò già avviene, ma a volte si estrinseca in una forma di comunità diversa da quella classica: mi riferisco alle comunità virtuali precedentemente menzionate, in cui l’approccio cambia completamente sia nei tempi che nei modi, oltre che negli strumenti necessari per esserne parte. Ovviamente, non essendo un antropologo culturale, non ho le competenze per una dissertazione approfondita al riguardo, ma l’intento è quello di stimolare una riflessione sul tema.
Il bene comune non ha, per fortuna, mai perso cittadinanza tra di noi, ma credo che si fosse un po’ opacizzato, poi in tempi recenti alcuni avvenimenti, anche cruenti, ci hanno portato a rivalutare il concetto di comunità: se pensiamo solo a quanto ci abbia cambiati il periodo del drastico lock down della prima metà del 2020, effettivamente possiamo dire che il nostro animo umano ha ancora la giusta sensibilità ai temi comunitari.
Magari qualche politico senza arte, né parte (e anche senza scrupoli), prova a far leva su questi concetti per fare proseliti e procurarsi una cadrega o almeno uno strapuntino istituzionale, ma per fortuna questi personaggi sono spesso delle meteore. Al riguardo, di primo acchito a me viene in mente l’improvvida creazione del reddito di cittadinanza, nato per tutelare fantomatici milioni di indigenti delle nostre comunità, servito in realtà ad attrarre voti e tanti, troppi truffatori.
Sono sicuro che a voi vengano in mente tanti esempi positivi di ritorno alle comunità e che quell’esempio negativo appena citato rimanga solo uno degli inciampi incontrati lungo il cammino verso il rafforzamento dello spirito comunitario, spirito che abbiamo l’opportunità di coltivare costantemente tutti insieme e ogni giorno attraverso parole e comportamenti coerenti al riguardo.
Gerardo Altieri