Le idee sono importanti in quanto rappresentano la sintesi di una percezione della realtà che ci è intorno, con in più la sensazione personale che costituisce l’elemento della interpretazione personale rispetto al mondo in cui viviamo.
Non credere in ciò che pensiamo e verso cui viviamo tensioni e sviluppiamo progetti, spalanca le porte verso un atteggiamento rinunciatario e dunque verso la depressione.
Per questo la comunità in cui viviamo deve essere prodiga nell’aprire i varchi in favore delle idee che prendono corpo e che, beninteso, abbiano “le gambe per camminare”.
Oggi, diversamente, abbiamo a che fare con centri occulti di potere che sostengono, spesso, “idee” mediocri e addirittura fuorvianti rispetto ad una visione della città del domani che scaturisce da una solida consapevolezza delle radici che affondano nel terreno di ieri.
Tutto questo è spiegato e rilevato da quello che chiamiamo “inconscio collettivo”: una sensazione magmatica che è in fermento continuo, simile ad una lava eruttata, capace alla fine di delineare un nuovo germoglio di cui si rende interprete un personaggio, un figlio di quella comunità che sente non rinviabile una sua volontà di incidere e di far avanzare la consapevolezza della realtà umana da cui proviene.
Quindi, non credere nelle proprie idee, che non sono in verità proprie ma espressione della sensibilità di una terra che ti ha eletto ad esserne alfiere, significa tradire un processo, non comprendere la sfida a cui si è chiamati: in questo senso la rassegnazione o lo svilimento che porta l’interprete di quello stato d’animo collettivo ad abdicare e dunque a rinunciare al proprio disegno, equivale ad una capitolazione della intera cultura sociale di un territorio.
Risponderei dunque che non solo “vale la pena”, ma costituisce un autentico impegno morale, quello di perseguire l’affermazione di un proprio disegno che, torno a ripetere, non appartiene a lui in modo solipsistico, ma si estende al “comune sentire” in ambito letterario, poetico, scientifico, naturalistico, gastronomico, grafico, pittorico, musicale, scultoreo e in tante altre forme ancora.
In fondo il ruolo della istituzione è quello di facilitare l’emersione di quelle “punte di iceberg”, poche o tante che siano, che altro non sono che “nicchie elitarie” di un incessante e continuo “laboratorio esistenziale” che, in quanto esiste ed opera, dimostra il suo bisogno di continuare ad esistere ed a prosperare.
Gli “ideatori”, dunque, sono gli “svelatori delle visioni” che un territorio ha già maturato nel tempo e che seguono un disegno imperscrutabile ai disattenti ed ai superficiali, ma evidentissimo a coloro che percepiscono il senso di uno stile coevo a quel determinato ambiente in cui ha germogliato, è sbocciato e si è dunque propagato.
Ernesto Albanello