Storie di frutta e verdura scartate dalla società che hanno avuto la loro rivincita
Se stessimo raccontando la storia di persone bruttine e un po’ “sfigate” che grazie alle loro sorprendenti qualità ce l’hanno fatta rivalendosi sul bello e patinato di turno, staremmo già gongolando pensando alla bellezza del karma e delle storie a lieto fine, immedesimandoci nel protagonista che alla fine ce l’ha fatta.
L’estetica è tutto.
Ma invece parliamo di frutta e verdura e qui le cose cambiano; sì, perché ogni anno, secondo dati Fao, viene buttato dagli agricoltori circa il 40-45% del loro raccolto – che può arrivare anche al 70-80% nel caso di stagioni particolarmente infelici dal punto di vista meteorologico: prodotti ortofrutticoli buonissimi, ma non esteticamente perfetti. E la colpa è anche nostra.
La nostra società consumistica ci ha infatti imposto nel tempo altissimi standard di perfezione estetica e tutto ciò che non rientra dentro questi rigidi standard, difatti viene percepito come da scartare. Anche se queste imperfezioni non sono indicatori né del sapore del prodotto né della sua effettiva qualità. Eppure questo è proprio quello che succede ogni anno alla frutta e verdura prodotte in Italia e in Europa, che vengono escluse dalla grande distribuzione laddove non rispettino certi canoni di bellezza. E così nasce nel pensiero comune il diktat che si mangiano solo mele perfettamente tonde e dal colore intenso e uniforme, zucchine dritte e non superiori o inferiori a un tot di centimetri, banane dalla curvatura certificata e stabilita secondo rigidi algoritmi.
L’Impatto ambientale degli scarti alimentari
Se tutto questo vi sembra un’esagerazione o una barzelletta, basterà porvi una semplice domanda: ho mai trovato al supermercato una patata nasuta, delle carote siamesi, o delle zucchine dalle dimensioni varie e differenti? E la risposta è no, anche a causa della difficoltà che si avrebbe nel confezionarli. E purtroppo a metterci lo zampino è anche l’Unione Europea che con il regolamento 543/2011, poi modificato dal 428/2019, stabiliva anche la curvatura massima di cetrioli e carote e delle dimensioni di altri 26 prodotti, mentre oggi si “limita” a intervenire solo su 10: kiwi, pere, mele, lattughe, scarole, pesche, fragole, peperoni, uva da tavola e pomodori. E tutto questo con ripercussioni enormi sull’ambiente e sul destino degli agricoltori. Uno scarto così elevato di prodotti costringe infatti gli agricoltori a produrre di più con un notevole impatto sull’ambiente; una maggiore coltivazione, comporta infatti un maggiore uso di pesticidi, una maggiore immissione di anidride carbonica nell’atmosfera e un maggiore inquinamento.
Siamo alla frutta
Il destino dei prodotti scartati? Il macero, sì perché l’industria della trasformazione riconosce un prezzo talmente basso al produttore da non permettergli di coprire nemmeno i costi di raccolta e trasporto. Per questo ogni anno cinquanta milioni di tonnellate di cibo perfettamente commestibile e di ottima qualità, ma con qualche cicatrice da contatto o delle macchie provocate dalla grandine, finiscono distrutte. A fronte di una povertà crescente, e di consumatori economicamente affaticati che risparmierebbero il 50% circa sull’acquisto di questi prodotti.
Nuove realtà e lotta contro lo spreco alimentare
Per fortuna da qualche tempo, complice una generazione sempre più attenta alle tematiche ambientali, la tendenza sembra stare cambiando. Ne sono esempio alcune startup che, nate da pochi anni, hanno ricevuto grande consenso, tanto da affermarsi e crescere nel giro di pochissimo tempo. È il caso di Bella Dentro, una società di Milano nata durante il lockdown dall’intuizione di due giovani, Camilla e Luca, che dopo avere letto il reportage di National Geographic sugli sprechi dell’industria agroalimentare, decidono di licenziarsi e di cominciare con un’Ape car un progetto di sensibilizzazione e vendita in giro per Milano di frutta e verdura imperfette, acquistate ad un prezzo equo dalle aziende agricole di tutta Italia, e creando da zero una filiera ortofrutticola parallela a quella esistente incentrata sulla lotta allo spreco. La loro iniziativa ha avuto un tale successo, che ad oggi possono vantare due negozi a Milano e un e-commerce per la vendita di prodotti essiccati o trasformati in succhi e marmellate dal laboratorio messo in piedi insieme ai ragazzi de L’Officina Coop Sociale di Codogno che si impegna a formare e a far lavorare ragazzi autistici o affetti da altre fragilità e dal Laboratorio “La Pietra Scartata” de la Fraternità Coop Sociale di Rimini che si impegna a far lavorare persone “scartate” dalla società.
Altra realtà importante attiva in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto, è quella di Babaco Market. Attraverso il loro sito internet è possibile acquistare delle box dal peso differente piene di prodotti “salvati” dal macero. Basterà navigare sulla loro pagina per rendersi conto dei “terribili” difetti dei prodotti venduti: cespi di lattuga e zucche piccoli, patate a forma di cuore, kiwi a forma di farfalla.
A sfidare la Grande Distribuzione, oggi ci pensano invece NaturaSì e Legambiente. Nei 500 punti vendita della catena di prodotti bio, sono infatti acquistabili da qualche tempo i prodotti “Così per Natura”, prodotti bio imperfetti venduti ad un prezzo del 50% inferiore rispetto ai prodotti standard. Un’operazione questa, che permette di ridurre gli scarti sui campi dal 20% al 4% circa.
Un dato non indifferente che salvaguarda agricoltori e natura.
Purtroppo queste realtà sono ancora troppo poche e concentrate soprattutto al Nord Italia. Ci vorrà forse ancora del tempo perché l’etica vinca sull’estetica. Che qualche influencer dai grandi numeri sposi la causa?
Silvia Francese