Ercole e Lica e les demoiselles d’Avignon

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Qual è la linea sottile che separa il bello dal brutto?

Dall’epoca moderna in poi il fine ultimo degli artisti, che fino a quel momento era quello di perseguire il bello, cambia direzione. L’artista non vuole più soltanto rappresentare il bello, ma suscitare emozioni in chi osserva l’opera d’arte.

Nell’Antica Grecia l’ideale di bellezza era un canone da perseguire, più ci si avvicinava alla perfezione ed alla simmetria e più ci si sentiva appagati. Nel corso degli anni il concetto di bellezza è stato connotato di significati e valori diversi in base al contesto storico e culturale.

Chi è, però, che stabilisce cosa sia bello e cosa no? Come si fa a definire la bellezza? Sono domande alle quali non è semplice dare risposte in poche righe. Si potrebbe banalmente dire che la bellezza è qualcosa di soggettivo che appaga il gusto estetico, che viene giudicato favorevolmente, che coinvolge tutti i sensi. Un’opera d’arte, ad esempio, può essere giudicata bella quando è affine al nostro gusto, quando appaga il nostro occhio interiore.

Prendiamo ad esempio il gruppo scultoreo “Ercole e Lica” di Canova realizzato tra il 1795 e il 1815. La perfezione delle forme, delle linee, dei volti, il turbinio dei corpi, l’attenzione minuziosa posta ai dettagli, quali i riccioli della barba o le vene che attraversano il corpo o ancora il velo appena accennato riconoscibile dalle pieghe visibili all’altezza del petto di Ercole. Tutto concorre a creare un senso di bellezza, nonostante l’opera racconti un momento crudo e violento della vita dell’eroe. Ercole, infatti, impazzito dal dolore procuratogli dalla tunica intrisa dal sangue avvelenato del centauro Nesso, è colto nell’atto di scagliare in aria il giovanissimo Lica, che, ignaro, gliel’aveva consegnata su ordine di Deianira. Il volto di Lica sfigurato in un grido che sembra disumano che dovrebbe risultare brutto, appare meraviglioso agli occhi dell’osservatore perché riesce a trasmettere in lui un’emozione.  

Qual è, dunque, il confine tra bello e brutto? Quando si è iniziato a pensare che il brutto fosse, in realtà, bello?

Prendiamo adesso “Les demoiselles d’Avignon” di Picasso del 1907: paragonate all’opera di Canova potrebbero sembrare ciò che definiamo brutto. 

Eppure non è così. Ne “Les demoiselles d’Avignon” sono presenti molti elementi che anticipano il cubismo, movimento che cerca di proporre la realtà non così com’è, ma come viene rielaborata mentalmente. Picasso distorce la realtà e frantuma lo spazio tridimensionale restituendo immagini bidimensionali poste tutte su un unico piano. Immagini apparentemente brutte che, però, suscitano emozioni e quindi portatrici dell’estetica del brutto.

La volontà di esaltare ciò che è brutto sembra essere nata alla fine del XVII secolo quando si inizia a intuire che anche ciò che è sgradevole può procurare piacere estetico. Questo perché gli artisti iniziano a percepire che, davanti alla rappresentazione di un soggetto brutto e disarmonico, lo spettatore prova delle emozioni. La bellezza classica dei Bronzi di Riace viene spazzata via per lasciare il passo all’espressività. I corpi spigolosi e difformi di Schiele diventano il trionfo di una nuova bellezza che origina dal brutto.

Il brutto diventa bello e viene esposto nelle sale museali al pari del bello.

Roberta Conforte

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