Tutti alle urne (forse) più confusi che mai

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L’Italia torna a votare il 25 settembre. Sempre più spesso sento dire “non ci andrò a votare, tanto è sempre la solita merda”. Frase inquietante, se ci pensate. Suona un po’ come uno schiaffo a tutti coloro che, prima di noi, hanno lottato per avere la possibilità di poter dire la propria opinione. Molti di questi erano i nostri nonni. 

E se pensiamo che meno di cento anni fa eravamo sotto una dittatura il parere dell’opinione pubblica fa ancora più specie. 

Eppure, in giro, la gente è incazzata davvero e avrebbe tanta voglia di cambiare le cose. Ecco perché in moltissimi alberga l’idea che il periodo della dittatura fascista fosse quasi meglio di questo: all’epoca le opere pubbliche erano costruite con velocità e qualità. La bonifica di alcune aree di Roma, oltre che della città di Latina, fa ancora sgranare gli occhi. Così come l’istruzione. C’era “solo” un “piccolissimo” problema: se non la pensavi come loro la tua vita diventava un inferno. Problema non di poco conto, che nessuno considera perché ritenuto ovvio. Beh, non era ovvio poter dire la propria opinione. 

Per ovviare a questo “errore di sistema”, la dittatura ricorreva alla stampa. Ancora oggi si studiano i titoloni pomposi dell’epoca. 

La stampa e l’informazione aiutavano il regime a sostenere sé stesso. Prima del conflitto l’entusiasmo era alle stelle. Entrammo in guerra per vincere. Finimmo la guerra umiliando noi stessi. Eppure il modo in cui usiamo la stampa e i mezzi di informazione al giorno d’oggi risulta pressoché lo stesso: in Italia non si scrive per informare ma per spingere a pensarla in un modo piuttosto che in un altro. Perché? Beh, perché la stampa ha un legame profondissimo con le famiglie più consolidate del nostro Paese, nonché con la politica stessa. E, attenzione, questo non è necessariamente un male! A volte, come è accaduto nel periodo più complicato della pandemia, il lockdown, la stampa e l’informazione hanno avuto un ruolo fondamentale. L’Italia si scoprì sola, senza nessuno su cui contare. Come sovente accade nei momenti più complicati, il nostro Paese si trincerò dietro un governo che mai, negli ultimi 20 anni, era sembrato così compatto. Giuseppe Conte ebbe l’arduo compito di tenere le fila di tutto. Per molti fu un disastro. Per altri fu un successo. Quella del 2020 fu per tanti l’estate più sicura dall’inizio della pandemia. Contagi ridotti al minimo, sorrisi ritrovati. Ma anche tanta incertezza. Agli italiani non potevano bastare gli incentivi statali, e nel giro di poco tempo Giuseppe Conte passò lo scettro a Mario Draghi. Quest’ultimo godeva e gode della fiducia di tutti i Paesi della UE nonché degli Stati Uniti d’America. L’opinione pubblica, inoltre, ha visto di buon occhio l’operato dell’ex presidente della Banca Centrale Europea. Anche qui, la stampa ha recitato un ruolo fondamentale per sostenere il premier uscente. Ed ecco perché “Il Fatto Quotidiano”, il 24 luglio, ha mostrato il sondaggio di Termometro Politico raccolto tra il 19 e il 21 luglio, sondaggio che risulta molto distante da quello esposto dall’ex presidente del consiglio in Senato, e della quasi totalità della stampa italiana. Il sondaggio rivela che solo il 31,2% dei cittadini intervistati (parliamo di 3.900 persone) pensava che Draghi stesse facendo un buon lavoro. Il 56,9% non lo gradiva. 

Se gli italiani il 25 settembre trovassero alle urne una “Lista Draghi”, sette italiani su dieci non la voterebbero. Ricordiamo in queste righe che “Il Fatto Quotidiano” è un caso a parte nella stampa nazionale, dove gli azionisti di maggioranza sono proprio gli stessi giornalisti Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez, Marco Lillo e l’ex magistrato Bruno Tinti. 

Tutt’altra musica, invece, per quanto riguarda “La Stampa”, giornale torinese i cui editori appartengono a GEDI Gruppo Editoriale, storica impresa italiana fondata da Carlo Caracciolo. Gedi fa parte del Gruppo Exor, il cui presidente è John Elkann. La sorella di John Elkann, Ginevra, è la produttrice italiana fondatrice di GOOD FILMS, una delle più importanti società di distribuzione cinematografica presenti nel nostro territorio (“Dallas Buyers Club”, “Before Midnight” e “Locke” sono solo alcuni dei film distribuiti da Good Films). Ma questo è solo uno dei tantissimi esempi dello stretto rapporto che intercorre tra i media e la classe dirigente del nostro Paese. Un buon esempio, in realtà: tanti film splendidi non avrebbero avuto la giusta risonanza altrimenti! Ma forse è anche da qui che nasce la “puzza sotto al naso” dell’italiano medio, che non si fida di ciò che viene detto dai media e scritto nei giornali. 

E questa è la grande differenza rispetto agli anni del fascismo: il popolo non si fida più dei media, perché non si fida più della politica. Nascono così forme alternative di informazione, che non sempre però sono sostenute da una attenta ricerca. 

Il 25 settembre torniamo alle urne, più confusi che mai. A chi credere? Di chi fidarsi? A chi dare il voto stavolta? 

Ma soprattutto: gli italiani torneranno alle urne o decideranno di far parlare il loro silenzio? 

Marco Cassini

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