
Per definizione, con “serendipità” s’intende l’occasione di fare scoperte positive per puro caso, ovvero di trovare una cosa non ricercata e imprevista proprio mentre se ne stava cercando un’altra. Già a partire, dunque, da questa enunciazione potrebbe sembrare arduo, se non addirittura forzato, il tentativo di trovare una correlazione tra un concetto “positivo” come la serendipità e una guerra incombente o peggio contingente.
La principale aspettativa connessa ad un conflitto bellico, infatti, è lo sviluppo di una serie di paure, di preoccupazioni e di attenzioni che verranno poi tradotte in azioni votate, essenzialmente, alla sopravvivenza. Una delle prime vittime della guerra è sicuramente la serenità, seguita da una perdita della capacità di vedere oltre l’immediato, con riferimento a sviluppi di medio lungo periodo del proprio vivere. Il cervello, grazie al meccanismo della paura, accende tutti gli interruttori dell’emergenza, mettendo in moto la chimica endocrina dell’essere umano per prepararlo alla fuga e/o alla battaglia. Come ogni organismo vivente, vengono tagliate fuori e relegate al minimo sindacale tutte le altre funzioni, fisiche e intellettive. I livelli di attenzione sensoriale sono amplificati al massimo delle possibilità “tecniche” e messe a disposizione dei meccanismi di azione e reazione, di stimolo e risposta, per incrementare le probabilità di sopravvivenza a qualsiasi tipo di attacco.
E la serendipità? In uno stato di guerra sarà accesa o spenta? Ci sarà utile o sarà messa in stand by in automatico dal nostro cervello ancestrale? Secondo uno studio di un gruppo di ricercatori della Sapienza di Roma, coordinato dal docente di Neuropsicologia Fabrizio Doricchi, ripreso sulla rivista Focus nel luglio del 2015, “la capacità di elaborare coscientemente degli stimoli visivi è significativamente incrementata quando l’osservazione attiva del mondo esterno non sia guidata da aspettative probabilistiche e temporali rigidamente definite. Il cervello, insomma, produce questo potenziamento del livello di coscienza amplificando e prolungando, nella corteccia visiva secondaria, la durata delle fasi di immagazzinamento e di elaborazione delle tracce sensoriali visive che precedono l’elaborazione cosciente”. Ecco che, quindi, in tempo di guerra, con una focalizzazione così estrema sulla sopravvivenza e i sensi allertati 24 ore su 24, senza un obiettivo su cui concentrarsi diverso dall’ascolto e dall’osservazione di ogni segnale di pericolo, il cervello può ampliare la base di analisi, permettendo anche quel “prolungamento” delle tracce sensoriali che secondo gli studiosi agevola le “scoperte inaspettate”.
Se la serendipità produce i suoi risultati quando l’attenzione di un osservatore attivo non è strettamente focalizzata su ciò che, in base all’esperienza di eventi passati coscientemente percepiti, ci si aspetta di osservare in futuro, di certo in un momento tragico come un conflitto bellico, privo di aspettative strutturate e lineari, potrebbe portare a grandiose quanto casuali scoperte. E per grandiose, in un clima del genere, potrebbe essere sufficiente riferirsi a nuove soluzioni e diverse alternative per dare un significato alla propria quotidianità, così come per mettersi al sicuro per un tempo più lungo o per uscire da un territorio particolarmente pericoloso per la propria incolumità. Sensi al massimo, amigdala attiva al 110%, prontezza fisica e psichica: un mix che sembrerebbe l’habitat ottimale per una serendipità mai provata prima.
Sandro Scarpitti