Lontani dai flussi, più in là, in disparte, gli artisti da strada
Io non metterei le due condizioni in forma oppositiva: nel senso che la ricchezza spirituale trova la sua modalità di estrinsecarsi, proprio perché vive all’interno di una persona che non è “intossicata dall’opulenza”.
Erich Fromm fu l’autore di un testo che risale al 1977, ma presenta tuttora una sua vitalità attuale, che ha per titolo: Avere o Essere?
Fromm dice che l’aut aut tra avere ed essere non è un’alternativa che si impone al comune buon senso.
Sembrerebbe che l’avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che per vivere, dobbiamo avere degli oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura nella quale la meta suprema sia l’avere (e anzi l’avere sempre di più) e in cui sia possibile parlare di qualcuno come una persona che vale “un milione di dollari”, come può esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l’essenza vera dell’essere sia l’avere, che se “uno non ha nulla”, “non è nulla”.
Va detto, in ogni caso, che i Grandi Maestri di Vita, hanno fatto proprio dell’aut aut dell’avere ed essere, il nucleo centrale dei rispettivi sistemi.
Il Buddha insegna che, per giungere allo stadio supremo dello sviluppo umano, non dobbiamo aspirare ai possessi. E Gesù cosa dice? “Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi avrà perduto la propria vita per me, colui la salverà. Infatti che giova all’uomo l’aver guadagnato il mondo intero, se poi ha perduto e rovinato sé stesso?”
Queste brevi osservazioni inducono a riflettere sulle conseguenze che si determinano nell’uomo, quando è “assillato” dalle proprietà: infatti la sua mente è assorbita in modo pressoché totale da come investirle, da come proteggerle o tutelarle, da come moltiplicarle.
La mente non fa altro che sviluppare al suo interno un meccanismo proteso ad incrementare il possesso, nella vana illusione che questa accumulazione dei beni sia rassicurante, perché estrometterebbe ogni ipotesi, anche remota, di un impoverimento.
Dall’altra parte, i “senza denaro”, i cosiddetti nullatenenti che hanno la mente sgombra dai calcoli, quindi dalle ipotesi che i loro possessi siano suscettibili di improvvise perdite di valore e quindi, di una dotazione su cui si basa l’agio.
Da tutto questo deriva anche la controversia su cui è fondata la parola “benessere”: se ci pensiamo un attimo, i cosiddetti “benestanti” sarebbero coloro che dispongono di facoltà economiche considerevoli.
Se approfondiamo il concetto, però, ci rendiamo conto che stiamo parlando di “benavere” e che “lo stare bene con sé stessi” procede secondo una filosofia fondata sulla essenzialità.
Mi piace terminare questa importante osservazione sull’essere e sull’avere con una mia poesia che ha per titolo: “Saltimbanchi fra le nebbie”.
“Tante persone vanno sicure, mostrano i loro volti, hanno lo sguardo fissi nel vuoto. Le mascelle serrate, tormentate da gesti, riti, abitudini che rassicurano: appartengono ad un mondo fatto di certezze che non consente di vivere per ipotesi, né di muoversi verso incognite incontrollabili: concentrarsi tra le nebbie, per poi rilassarsi ai tropici.
Lontani dai flussi, più in là, in disparte gli artisti da strada, i saltimbanchi: persone che occupano il tempo come possono, facendo cose inutili.
Loro, si limitano a colorare giornate un po’ grigie, rappresentano l’incognita senza controllo…in fondo sono solo dei perdigiorno.
I primi, intenti solo a raggiungere uno scopo, indifferenti a queste note di colore, si proiettano alla volta del futuro, che giorno dopo giorno sfugge di mano…
Gli altri, nello scopo ci sono già: sono contenti di dare gioia e di rasserenare i cuori. Basta poco, in fondo, per vivere l’attimo e goderlo nel tempo che passa…
Ernesto Albanello