
Bruno Vespa ha iniziato a fare il giornalista almeno dieci anni prima che alle donne svizzere riconoscessero il diritto di voto e “abita” stabilmente (e pressoché ininterrottamente) a Rai1 da quasi cinquant’anni. Per il TG1 è stato inviato, intervistatore di “pezzi grossi”, commentatore e infine direttore. Ha vissuto l’era delle lottizzazioni dei canali della tv di stato (Rai1 alla Democrazia Cristiana, Rai2 al partito Socialista e Rai3 al Partito Comunista) così come è sopravvissuto alla discesa in campo di Silvio Berlusconi e alla caduta della prima repubblica (nonché all’avvento della seconda), con un innegabile savoir faire che molti suoi detrattori hanno considerato un’eccessiva forma di accondiscendenza verso il potere (e il potente) del momento.
Dal 1996, poi, Bruno Vespa ha inaugurato, sempre su Rai1, il suo “salotto televisivo”, quel Porta a Porta che conta ad oggi oltre 3.150 puntate e che ha visto transitare personaggi di alto profilo istituzionale, politici in particolare, compresi memorabili e celeberrimi faccia a faccia, in stile quasi americano, in prossimità delle elezioni. Proprio a causa del suo rapporto con i politici, il “Vespone” nazionale è riuscito ad attirarsi numerose critiche che, a partire dalle sue maniere quasi reverenziali, si sono riversate su una certa compiacenza con i governanti in carica. Forse, parte di queste critiche sono nate anche dell’invidia dei colleghi per un professionista che ha saputo “galleggiare” egregiamente nel tempo e attraverso le trasformazioni che, di contro, hanno visto molti altri giornalisti, direttori e conduttori ascendere, per poi sparire al primo cambio di vento. Forse, Bruno Vespa ha solo saputo interpretare al meglio un personaggio, a metà tra la sua professione ufficiale e il teatro, capace di “servire” (nel senso di “essere al servizio”) al meglio il proprio “padrone”.
Oltre che maestro del giornalismo da salotto, il conduttore di Porta a Porta ha trovato il tempo ed il modo di generare una produzione letteraria da fare invidia, per quantità sicuramente, al Reader’s Digest e alle collane di romanzi d’amore “targati” Harmony. Da quasi trent’anni, con cadenza annuale che neanche i cinepanettoni della coppia Boldi – De Sica, Bruno Vespa raccoglie e sintetizza le sue esperienze da giornalista, e i suoi punti di vista, scrivendo saggi che spesso diventano veri best sellers. In particolare, la sua produzione è stata particolarmente ricca nell’ultimo triennio, con ben sei libri pubblicati tra il 2019 e il 2021, di cui tre che sembrano studiati per costituire una vera e propria trilogia. Quello che colpisce di queste tre “tomi”, più che i titoli, sono i sottotitoli, posti tra parentesi e presenti in tutti e tre i libri.
Il primo, del 2019, dal titolo “Perché l’Italia diventò fascista”, ha come sottotitolo “e perché il fascismo non può tornare”. Una frase che sembrerebbe rassicurante finché, leggendo una qualsiasi recensione del libro, e alla luce degli accadimenti successivi al 2019, viene da pensare che più che uno scongiuro, sia una vera e propria “gufata”. Nel 2020, poi, Vespa scrive “Perché l’Italia amò Mussolini” con un sottotitolo a effetto e acchiappa click che recita “e come è sopravvissuta alla dittatura del virus”. Dopo un iniziale sbandamento sul senso di questo affiancamento tra Mussolini e il virus, e non appena sfogliate le prime pagine del libro, si capisce come la smania da trilogia abbia travolto il buon Bruno fino a fargli personificare il virus (da lui chiamato “signor Covid”) pur di creare un parallelismo continuo tra il Duce in carne ed ossa e il dittatore in formato RNA. Ma il pezzo forte è il terzo ed ultimo libro, scritto nel 2021. Di questo, nessuno spoiler. Solo il titolo e, soprattutto, il sottotitolo, che qualche malpensante, invidioso e livoroso detrattore del bravo giornalista scrittore userà per ribadirne la sua tendenza a strafare quando c’è da “fare gli occhi dolci” al potente di turno: “Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando)”. Oltre al salto di 80 anni tra i danni di Mussolini e il risanamento di Draghi, oggi come oggi, marzo 2022, l’orizzonte è più fosco che mai e forse il buon Draghi ha più possibilità di essere ricordato come un novello “democratico autoritario” che come un risanatore. La situazione è, purtroppo, fuori anche dalla sua portata. Con buona pace di Bruno Vespa che, sicuramente, troverà il modo di scrivere un sequel che lo manterrà ancora una volta sulla cresta dell’onda.
Sandro Scarpitti