L’identità è data dalle relazioni e il valore delle relazioni è dato dalle norme culturali e sociali che regolano un gruppo di individui. Ubi societas ibi ius, dove è la società li vi è il diritto. Se c’è un gruppo di persone questo ha bisogno di leggi.
Quindi è possibile dire che il valore delle interazioni sociali che abbiamo determina chi siamo. Questo concetto non è da sottovalutare in nessun campo.
In archeologia sappiamo che, durante il corso della storia, vi furono cambiamenti spinti da diversi fattori interni o esterni alle varie comunità.
Il nostro filo conduttore è il termine onestà che deriva dal latino e sta ad indicare una persona onorata, di nobili sentimenti, degna di rispetto.
Ma anche i “nobili sentimenti” seguono le mode di un gruppo sociale. Nessuna clausola nelle relazioni umane è fissa, muta sempre con il cambiamento storico e culturale.
Concetto complesso da comprendere ed accettare, questo perché è davvero difficile mettersi nei panni degli altri, specialmente se quei panni non seguono le stesse regole dentro cui siamo cresciuti e che il contesto sociale rispecchia.
Ma i cambiamenti sono necessari, anche se portano conflitto e troppo spesso disprezzo, senza però non potrebbe esserci evoluzione.
Torniamo indietro nel tempo. Tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro. Tra XIII e IX sec. a.C. per tenerci larghi. In questi quattro secoli gli archeologi riconoscono grandi cambiamenti nella società umana. In particolare, nell’Italia tirrenica nascono le città, più precisamente quelle che sarebbe meglio definire le città-stato.
Partiamo dal presupposto iniziale che, queste due epoche comprese nella grande categoria definita “Età dei metalli”, e che chiamiamo età del Bronzo e del Ferro, portano dei nomi non casuali.
Le età dei metalli si basano sui cambiamenti tecnologici oltre che sociali, le grandi acquisizioni tecnologiche riguardano anche e soprattutto la lavorazione dei metalli a scopi decorativi, funzionali e bellici.
Il bronzo è una lega, è fatto con rame e stagno, non facile da trovare ma facile da lavorare. È molto bello, ha il colore dell’oro ma è spesso troppo duttile, morbido, per usi che prevedono grandi stress fisici del manufatto (asce, spade ecc.)
Il ferro è difficile da estrarre e difficile da lavorare ma ha il grande pregio di essere molto resistente, quindi più funzionale. Questo presuppone grande conoscenza della materia prima, una tecnologia più innovativa e organizzata e soprattutto specializzata e complessa. Non che per il bronzo non fosse lo stesso, ma il ferro richiede complessità maggiori.
È proprio durante il passaggio tra queste epoche e con l’acquisizione di tecnologie innovative, unita alla crescita demografica che la società cambia.
I villaggi di piccola e media estensione vengono abbandonati per unirsi tutti su pianori difesi naturalmente. Questo comporta vantaggi e svantaggi: il potere è centralizzato, una città domina un territorio, lo controlla e lo gestisce, ma si è in tanti in un ambiente antropizzato e saturo. Tutto questo ha bisogno di nuove regole, nuovi ruoli sociali, nuove religioni, nuovi miti, nuove infrastrutture, insomma bisogna riformare tutto.
Sul nostro versante, l’adriatico, le cose avvengono diversamente, è vero che molti siti precedenti vengono abbandonati e che località favorite naturalmente rimangono in uso espandendosi, ma la naturale evoluzione subisce la morfologia del nostro territorio, noi non avremo le città-stato.
Attenzione, questo non significa che da noi la tecnologia non si specializzi diventando innovativa e organizzata, anzi, forse è proprio da noi che parte la macchina della lavorazione del ferro.
C’è però, per fattori esterni ambientali, una difficoltà nell’acquisizione di un modello che non faceva per noi. Gli adriatici si sentivano popolo, non città! Controllare una grande quantità di terreno presupponeva la presenza di più poli di controllo, da grandi insediamenti ad avamposti di frontiera. Proprio per questo tutti dovevano sentirsi un unicum, conservando piccole diversità.
Così si muta socialmente e si cambiano le reti sociali. E l’onestà? È un valore già maturato, importante soprattutto in queste fasi di transizione culturale. Se un gruppo sociale in un momento di cambiamento non si trova ordinato dal valore dell’onestà il processo deraglia.
Questo presuppone seguire regole giovani e innovative, pronti a modificarle all’occorrenza fino all’assestamento del cambiamento. Chi lo fa è onorevole, dà sicurezza e diventa un capo da seguire. Attenzione però, la disonesta può sembrare una via facile e seducente, ma porta alla rovina di chi la promulga e di chi la segue. Se non si rispetta l’altro e la sua libertà la società crolla nel caos. I processi si bloccano e va ricominciato tutto da capo.
Questa è solo una delle spiegazioni possibili a favore dell’onestà, ideale ad oggi quasi dimenticato.
Ed è la mia spiegazione, il mio atto politico a favore della buona riuscita del nostro mutamento sociale.
Oggi, come tra Età del Bronzo e del Ferro, come in quel mondo che sarà sembrato andare alla deriva per alcuni e verso la grandezza per altri, io vi chiedo di fare atti politici! Lo chiedo a tutti, ciascuno come può, io userò l’archeologia per fare politica, voi come intendete partecipare?
Dott.ssa Andrea Di Giovanni