Pur essendo meridionale, una delle cose che mi infastidiscono è la continua dicotomia tra settentrione e meridione: basta con questa litania! E’ a dir poco inutile continuare a sottolineare le differenze antropologiche, sociali, economiche, ambientali, culturali, culinarie, religiose, e chi più ne ha, più ne metta.
Il sud Italia è stato pesantemente condizionato dalla dominazione borbonica, che non chiedeva molte tasse ai cittadini, ma che parallelamente non stimolava la crescita di attività produttive o industriali, impedendo di fatto la nascita di quella borghesia operosa, che ha permesso invece lo sviluppo all’epoca dell’attività d’impresa del nord-ovest italiano. Un esempio di questa differente mentalità lo dimostra l’approccio all’agricoltura: estensiva al sud, intensiva al nord, quest’ultima a maggior valore aggiunto rispetto alla prima. D’altro lato, dopo l’unificazione d’Italia, i debiti contratti dai Savoia per lo sviluppo delle infrastrutture del Piemonte sono stati assorbiti all’interno del debito pubblico del nascente Regno d’Italia: al nord ne hanno preso i benefici, ma i soldi li abbiamo messi tutti insieme. Ma questa è un’altra storia, né può essere una accettabile giustificazione per piangersi addosso.
La cultura impressa dall’impero borbonico era dura da sradicare, sicuramente più di quella presente nello Stato Pontificio, i cui territori, in pochi anni dall’unità d’Italia, iniziarono uno sviluppo simile a quello settentrionale, abbandonando perciò una forma mentis anch’essa poco orientata alla creazione di aziende e di ricchezza.
Nei decenni successivi il divario tra nord è sud è aumentato, anche a causa della forte emigrazione, che toglieva forza lavoro dal meridione e la rafforzava al nord, che continuava a produrre ricchezza. Avviciniamoci velocemente alla seconda metà del XX secolo: il dopoguerra è stato caratterizzato dall’istituzione di enti statali che hanno provato ad incentivare lo sviluppo delle attività al sud, primo tra tutti la Cassa del Mezzogiorno. Questi enti hanno permesso l’aggancio del “miracolo italiano” da parte del meridione, ma hanno anche sprecato troppi soldi in imprese e attività le cui assunzioni venivano indirizzate dai politici e dai sindacati, magari in aree prive delle necessarie infrastrutture, perciò destinate ad un inesorabile fallimento e al conseguente spreco di risorse pubbliche.
Facciamo un altro salto temporale e arriviamo ai giorni nostri. Noi meridionali continuiamo ad essere attratti dalle sirene dei partiti che promettono prebende in cambio di voti: il famigerato reddito di cittadinanza e il parallelismo con la distribuzione dei voti del M5S ne è la riprova (vedi ad es. gli studi CISE-LUISS). Un’altra riprova è il fatto che, ad es., sia stato mandato alle ortiche (guarda caso dalla forza politica appena menzionata, purtroppo di concerto con l’amministrazione regionale pugliese) il piano di salvataggio Accelor-Mittal dell’ILVA di Taranto: questo piano avrebbe tenuto attivi migliaia di posti di lavoro, invece il tutto è stato sostituito dal supporto statale della CIG per i dipendenti dell’azienda, ovviamente a carico delle casse dello Stato.
Dopo questa breve cronistoria, arrivo crudamente al punto: troppi meridionali non hanno ancora deciso di abbandonare la mentalità assistenzialistica che caratterizza la nostra terra da generazioni. Pur riconoscendo una serie di problematiche ambientali, prima tra tutte i territori influenzati dalla malavita organizzata, è inaccettabile continuare a sentire gente che si lamenti dell’assenza di lavoro, che chiede solo sussidi o che lavora solo in nero (e a questi ultimi pagheremo la pensione, pur non avendo essi stessi versato contributi pensionistici).
Ho sentito troppi piccoli imprenditori (alcuni anche dichiaratamente di sinistra) lamentarsi del fatto che non si trovano lavoratori, anche non qualificati: ci sono stagionali che vogliono lavorare in nero per non perdere sussidi, ci sono potenziali apprendisti che preferiscono stare a casa invece di imparare un mestiere, ecc. Io stesso nella mia esperienza professionale ho commissionato e finanziato un piano nazionale per la ricerca di meccanici (anche senza esperienza) per la rete delle officine di una casa automobilistica, ma è stata una fatica immane e poco proficua, anche nelle province del sud.
Non sono leghista della prima ora, né ho mai votato per quel partito, così come mi sono altrettanto distanti le plateali manifestazioni di qualunque colore politico a difesa e in aiuto di questi o di quei “perseguitati dalla sfiga”: è ora di dire basta a questo stato di fatto.
Qualunque cosa sia successa nel passato a detrimento del nostro meraviglioso meridione, non va più brandita come arma per la richiesta di “risarcimenti morali”: la nostra terra ha dato i natali a personaggi notevoli della cultura, della politica, dell’impresa, dello sport e dell’arte, perciò non abbiamo nulla da invidiare in termini di capacità intellettive a chicchessia. L’ulteriore riprova è il successo professionale che tanti conterranei tuttora raggiungono al di fuori della terra natia.
E’ giunto il momento di esprimere tutto il nostro potenziale e di mandare a quel paese le sirene di chi ci promette una vita mediocremente serena con un sussidio qua e là, con la prospettiva di una pensione sociale anticipata, con una quotidianità senza infamia e senza lode. Basta!
Chi decide di sottostare alle logiche di protettive di una certa politica non ha nessun diritto di replica, perché decide di non vivere e di delegare ad altri le scelte di vita. A tutti gli altri rinnovo la mia esortazione di tirare fuori il meglio di sé stessi e di far finalmente risplendere il sud dell’Italia quanto effettivamente merita. Dobbiamo attirare le imprese, con la voglia di dimostrare le nostre capacità lavorative, accettando positivamente di parlare di produttività e non parlando solo di diritti, come fa una certa parte di sindacati che persegue sempre il livellamento salariale dei lavoratori, verso il basso… Soprattutto in questo particolare momento storico, con tutte le possibilità offerte dal PNRR, sarebbe delittuoso non provare a farlo, o no?
Gerardo Altieri