La verità è che non siamo più in grado di comunicare tra di noi
La nuova generazione dei giovani nati negli ultimi anni sembra essere un tutt’uno con la tecnologia. Gli smartphone sono ormai prolungamenti della braccia. Uno studio avviato dal Csb, Centro per la salute del bambino onlus di Trieste, assieme all’Associazione culturale pediatri, ha rivelato che il 30,7% della popolazione italiana lascia il cellulare in mano al figlio prima dei 12 mesi, e il 60% nella fascia di età compresa tra i 12 e i 24 mesi. E la motivazione è univoca: gli smartphone interrompono immediatamente qualsiasi tipo di pianto o capriccio.
La cosa sorprendente è che questi piccoli esseri umani che non hanno ancora sviluppato la capacità di esprimersi e parlare, già dai 12 mesi utilizzano il telefono meglio di un ventenne. Vi sarà sicuramente capitato di vedere un neonato smanettare al telefono dei genitori e tappare sulle icone delle applicazioni, aprire YouTube, cercare qualche video o qualche cartone e guardarlo. Pur non sapendo né leggere né scrivere. Riconoscono le immagini, imparano le sequenze e navigano.
Non stupiamoci quindi se, in giro, le piazze e le strade sono piene di gruppi di giovani asociali intenti a credere di socializzare tramite i loro smartphone, gli uni accanto agli altri senza nulla da dire, ma tanto da scrivere, impegnatissimi a postare per tempo l’ultimo trend su TikTok e l’ultimo reel di tendenza su Instagram, attentissimi a mostrare sui social una vita frenetica tra uscite, cene e aperitivi con amici dove tutti sembrano apparentemente felici e divertiti. Felicità, questa, che dura giusto il tempo di una foto o di un video da caricare tra le storie di Instagram per tornare il secondo successivo ad immergere la testa nel cellulare dimenticandosi di chi si ha affianco.
Non stupiamoci neanche delle giovani coppie di innamorati che, seduti gli uni di fronte agli altri davanti ad un piatto fumante in un qualsiasi ristorante, intrecciano le mani sui propri telefoni e hanno gli sguardi vuoti persi nello schermo che mostra in una successione infinita foto e video ai quali si dà poi poca attenzione.
Ma non cadiamo nell’errore di dare la colpa solo alla nuova generazione o alla tecnologia che corre sempre più velocemente.
La verità è che non siamo più in grado di comunicare tra di noi. Quante volte in treno vi è capitato di salutare cordialmente un passeggero e di ricevere un saluto di risposta? Ormai non c’è più né tempo né voglia di conversare perché il nostro flusso di pensieri è sempre incentrato sui problemi o sugli impegni e quando questo flusso viene interrotto da un cordiale “buongiorno” ne siamo quasi infastiditi. Non siamo più in grado di parlare e quando uno sconosciuto prova ad avere una conversazione amichevole lo guardiamo con sospetto e circospezione, il più delle volte diamo risposte frettolose o non rispondiamo affatto.
Pensateci, quando si affronta un viaggio lungo sembra che il tempo non passi mai, saliamo su quel treno già provati dal nostro bagaglio di preoccupazioni ed ansie e chiudiamo qualsiasi canale di comunicazione. Se invece passassimo quel tempo che sembra infinito a conversare con qualcuno, beh, il tempo passerebbe velocemente.
Proviamo a prenderlo come allenamento. La prossima volta in cui saremo costretti ad affrontare un viaggio lungo proviamo a conoscere chi sta viaggiando accanto a noi. Potremmo scoprire che ci sono infinite storie uniche che hanno solo bisogno di essere raccontate.
E magari potremmo anche scoprire che siamo ancora in grado di parlare.
Roberta Conforte