Mollo tutto e scappo in paese (con il laptop)

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Chi vive in un borgo da sempre vede la città come la meta da raggiungere per scappare dalla noia e dalla routine della vita di paese e per cercare fortuna. D’altronde il fenomeno dell’urbanesimo si è sviluppato in maniera preponderante tra il XIX e il XX secolo proprio perché nelle campagne il lavoro non c’era più e si era costretti a cercarlo in città. Soprattutto i ragazzi guardano alla città come al luogo di divertimento e perdizione, dove trovare diverse attività da svolgere oltre la consueta passeggiata dalla pineta alla piazza e viceversa.

Negli ultimi tempi, però, le cose sono un po’ cambiate. Chi vive in paese continua a sognare la città, ma chi vive in città ha iniziato a sognare il paese e in special modo il piccolo borgo.

Non vogliamo tirare sempre in ballo la pandemia, ma è pur sempre vero che ha determinato uno stravolgimento delle abitudini sotto ogni punto di vista, anche lavorativo.

Dallo svegliarsi ogni mattina due ore prima per non trovarsi imbottigliati nel traffico nel tragitto da casa a lavoro, dallo stressarsi ogni giorno in ufficio con telefoni che squillano e colleghi con un tono di voce esageratamente alto, dal mangiare il solito panino del bar all’angolo in pausa pranzo, si è passati allo svegliarsi mezz’ora prima del primo collegamento della giornata, al prendere un caffè in perfetta armonia all’interno delle mura di casa, al mangiare un piatto di pasta condito con tanto sugo. Certo, questo per chi non ha passato gli ultimi due anni a casa con i figli in DAD.

Ma lo smart working ha permesso di riscoprire i piccoli piaceri della vita, e lavorare non è stato così complicato. Anzi, oggi si preferisce lo smart working al lavoro in presenza.

E allora il caos, il traffico e la frenesia della città sono iniziati a diventare troppo.

Troppo smog, troppo inquinamento acustico, troppe persone.

E la quiete ed il silenzio dei piccoli borghi sono diventati quasi necessari, non solo per trovare un po’ di ristoro dalla confusione della città, ma anche per nutrire gli occhi con panorami mozzafiato.

In effetti, da un’analisi eseguita da Il borghista, piattaforma dedicata appositamente ai borghi ed al turista di borghi, risulta che già nel 2017 il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo rilevava che il 36% dell’afflusso turistico italiano si rivolgesse nei borghi. Nonostante il blocco subito nel 2020 dal settore del turismo nei mesi di marzo-maggio a seguito della pandemia, le rilevazioni ISTAT sul Movimento Turistico in Italia hanno registrato un incremento del +6,5% rispetto al 2019 nell’estate 2020, a favore soprattutto delle destinazioni «meno consuete, presumibilmente meno affollate e con una più ampia ricettività di tipo extra-alberghiero (agriturismi, open air, ecc.)».

Prendiamo ad esempio il borgo di Civita di Bagnoregio in provincia di Viterbo: antichi edifici torreggianti edificati sulla cima di un colle raggiungibili solo tramite un ponte pedonale a picco nel verde. Ma la spettacolarità di questo borgo non risiede solo nel fatto che sia stato costruito sulla sommità di un colle. Percorrendo i vicoli pittoreschi lastricati di mattoni che si snodano sotto archi etruschi del XII sec., si arriva fino al centro della piazza dove sorge la sontuosa chiesa romanica di San Domenico, caratterizzata da enormi colonne antiche.

E allora chi non vorrebbe mollare tutto, prendere il pc e correre a lavorare in smart working immerso nel silenzio e nella bellezza di un borgo?

Roberta Conforte

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