Un principio che contiene falle enormi, se non anche le premesse di un futuro distopico
Tanto tempo fa, in un luogo che non è su google maps, un uomo e una donna vivevano immersi nella pace di un lussureggiante giardino dell’Eden, che immagino come quello dipinto da Johann Wenzel Peter. Ideati da Dio, immortali come lui, Adamo ed Eva erano felici e spensierati, ma quando Eva disobbedì al suo creatore, e plagiata dal serpente mangiò il frutto proibito – che porse anche al suo Adamo -, vennero cacciati dal paradiso. Non più meritevoli di quel luogo ameno, furono condannati a sacrifici e dolori, come lavorare e partorire; persero anche la vita eterna che, forse, era il premio più importante. Un premio come quello che si promette ai bambini se si comportano bene, se eseguono le direttive dei grandi che, talvolta, sono più necessarie all’adulto e molto meno al bambino: un ricatto insomma. E nel ricatto ci siamo abituati a vivere, tra promesse e inganni, in saecula saeculorum, “nei secoli dei secoli”.
Vi ricordate lo slogan partito da Obama: “yes, we can”? Quel motto ci ha promesso che se ci impegniamo possiamo farcela; se studiamo, se lavoriamo sodo, se crediamo in noi stessi senza esitazioni, arriveremo al traguardo, e con orgoglio potremo dire che quel successo ce lo siamo sudato. Ecco dunque arrivare l’inganno del merito. Perché inganno?
Non è forse vero che se raggiungo il successo non per nepotismo o clientelismo, ma solo ed esclusivamente grazie al mio quoziente intellettivo, fatto di talento e doti naturali, unito allo sforzo, fatto di impegno e applicazione costante, quel successo me lo sono meritato?
Certo, ma osservando meglio il tuo percorso, come ti vedi rispetto agli altri? Quelli che non ce l’hanno fatta. Pensi di rimanere solidale con loro? O li guardi dall’alto? Sei certo di volerli includere con benevolenza nella società? Pensaci bene. Oppure credi che non essendosi sforzati come te, non meritano di condividere i tuoi stessi benefici? In effetti, se ci pensi bene, non sarebbe giusto. Tu, dalla tua parte, oltre al talento e all’intelligenza, hai avuto anche un carattere forte, che ti ha sorretto e spinto ad andare avanti, mentre loro sono stati degli smidollati. Ma, potrebbe essere il carattere, un qualcosa che si eredita alla nascita? E quindi senza sforzi. Secondo alcuni filosofi, è legato all’anima, che è universale e che ha un daimon, una sorta di guardiano o compagno di viaggio, fondamentale per estrarre dal cilindro magico, ciò che siamo destinati a vivere. Forse sei destinato a vincere, o forse no, forse sei destinato a rinascere tante volte prima di completare il puzzle.
Alcuni pensano che quelli che non ce l’hanno fatta siano degli scansafatiche, dei rinunciatari, e così come gli ignavi, meritano di stare nel regno dell’oltretomba, di vagare nudi per l’eternità. Questo meccanismo può scattare facilmente, trascinandoci giù con una valanga di detriti, fino a imbrattarci di rancore e pregiudizio. E lo stesso rancore può attaccare l’organismo di quelli che, invece, non ce l’hanno fatta, che, forse, non sono tutti dei perditempo; qualcuno è semplicemente partito svantaggiato rispetto ad altri, per famiglia, per ambiente, o anche per la sorte avversa… Non conosciamo le storie di tutti quegli uomini e di tutte quelle donne che non hanno avuto successo o che, non si sono neppure avvicinati ai loro sogni, ad un lavoro ben retribuito. No, non le conosciamo, e magari neanche ci sforziamo empaticamente; abbiamo già dato abbastanza per raggiungere lo scopo, che abbiamo perso di vista tutto il resto.
Si parla tanto di inclusività in questo ultimo periodo, eppure, la pandemia ci ha mostrato che non ne siamo realmente capaci, se non a parole. I vaccinati contro i non vaccinati, come se fossero degli appestati che non meritavano nulla, nemmeno il diritto al lavoro (io mi sono vaccinata, e doverlo precisare mi rattrista, come se volessi essere dalla parte dei meritevoli, e quindi lo cancello, poi lo riscrivo).
Un bel principio quello del merito che tuttavia contiene falle enormi, se non anche le premesse di un futuro distopico, come quello immaginato dal politico e sociologo britannico Michael Young, coniatore del termine meritocrazia. <<Gli uomini, dopotutto, si distinguono non per l’uguaglianza ma per l’ineguaglianza delle loro doti. Se valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza o la loro efficienza, ma anche per il loro coraggio, per la fantasia, la sensibilità e la generosità, chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, o che l’impiegato straordinariamente efficiente è superiore al camionista straordinariamente bravo a far crescere le rose?>> scrive nel suo ormai dimenticato L’avvento della meritocrazia.
E dunque, non possiamo misurare il merito valutandolo solo per il risultato, dimenticando il senso più ampio della vita. Geolocalizzare il paradiso, forse, si può. E se è su una mappa, possiamo arrivarci tutti, senza troppi meriti.
Alessandra De Angelis