L’importanza della scuola per la riscoperta delle emozioni

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Si tratta di due termini che presentano delle forti discordanze ma anche delle consonanze per altre e diverse motivazioni.

Cercherò di essere comprensibile.

Una persona empatica è sicuramente un soggetto che è riuscito a portare al più alto livello lo spirito di immedesimazione, di forte corrispondenza con l’altro e quindi dà la dimostrazione di essere un “soggetto sociale”.

Chi è empatico riesce a condividere gli stati d’animo dell’altro, sa essere accogliente anche delle opinioni che l’altro esprime verso le quali esprime delle riserve.

Perché l’empatico non ha come mira quella di far prevalere il suo punto di vista, ma si adopera perché l’altro da sé possa stare a suo agio: come? ascoltandolo e sentendo dalle sue parole delle vibrazioni che lo avvicinano a lui al punto da determinare una osmosi di stati d’animo.

Com’ è facile comprendere, l’empatia non è una dimensione dell’essere che, una volta acquisita, rimane sempre efficiente e valida: va costantemente potenziata.

È qualcosa di dinamico e di mutevole, che può essere soggetta a “cadute” ed a “rialzi” anche per effetto degli stati di umore di chi ha questa prerogativa.

Per questo presenta in sé dei tratti di utopia, quindi di velleitarismo perché può avere in sé dei tratti che sconfinano nella idealizzazione del rapporto sociale.

Pur tuttavia, essere empatici è una prospettiva per la costruzione dell’“IO sociale” che andrebbe insegnato fin dai primi anni della scuola, in quanto servirebbe a rendere praticabile lo spirito cooperativo, anziché quello competitivo.

Noi abbiamo un sistema di istruzione che mira a costruire le competenze a ciascuno al livello per quanto riguarda i processi cognitivi, ma scontiamo una colossale ignoranza per quanto riguarda la conoscenza emotiva e la percezione di sé dei ragazzi che frequentano le nostre scuole.

Non c’è una materia che si chiama “emozionologia” per intenderci. Le nostre scuole sono infestate dal mobbing e dal bullismo e dal cyberbullismo, ma non c’è una voce che si alzi forte e chiara e sostiene che per contrastare questi “virus” occorre educare alle emozioni, conoscendo le proprie per stabilire una relazione con quelle degli altri.

Allora tocca sentire queste continue operazioni di “sensibilizzazione” per la riduzione di forme aggressive tra i compagni ma non c’è una vera e reale azione di alfabetizzazione emozionale.

Quindi, per tornare al tema, l’utopia dell’empatia può essere ritrovata qui: nel non rendersi conto che si è condivisivi, cioè si è in grado di determinare delle relazioni osmotiche, se si è costruito prima e per tempo, un “impianto emotivo” che consenta a ciascuno di percepirsi “soggetto emotivamente maturo”.

L’augurio è che almeno la scuola, nella sua funzione di istituzione educante, inizi da subito e adesso per allora, un percorso di invito alla conoscenza delle emozioni, da cui l’alunno partirà per gestire e controllare le proprie, fino a saper essere saggio ascoltatore degli stati emotivi altrui.

Ernesto Albanello

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