L’arte concettuale di Franco Secone

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“L’ingegno è vedere possibilità dove gli altri non ne vedono” – Enrico Mattei


Esistono ferite inguaribili, malesseri complicati, sguardi deviati, ostinazioni insormontabili, volontà inesistenti mali sociali senza soluzione. Questo è ciò che molti di noi vedono e che molti altri invece, vedono ma in maniera diversa. Nella vita una cosa o un avvenimento cambiano a seconda di come li stiamo guardando, di come li stiamo interpretando. Alla base c’è sempre un modo di pensare, osservare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto.

Ascoltare Franco Secone è stato illuminante, come un viaggio in un mondo speranza, di buona volontà e di ottimismo, fa riflettere, la sua arte, su molti aspetti della vita che mettiamo da parte, in un angolo, incuranti del fatto che una via d’uscita può sempre esserci. Il richiamo a Burri è immediato, il sacco, le combustioni, la matericità, la sperimentazione sui materiali e le emozioni che essi scatenano attraverso messaggi immediati, spesso crudi, diretti ma nello stesso tempo aperti a nuove possibilità.

Tagli strappi e cuciture cosa rappresentano per lei?

“Nelle mie opere creo spaccature che poi ricucio sempre, in senso metaforico, sono un ottimista, quindi devo ricucire.  In ‘Zaporižžja’, che rappresenta le centrali nucleari in Ucraina, la torre di raffreddamento l’ho divelta, rotta, spaccata, per esorcizzare la catastrofe, poi le crepe le ho imbastite. Nel mio modo di vedere bisogna mediare, tra stati e persone, tra tutti, bisogna intervenire cercando un punto d’incontro. Fotografo le situazioni che ci circondano e cerco di trovarne il senso positivo. Ho realizzato una serie di sculture a tema ‘Femminicidio’ il rapporto uomo-donna, la donna guarda e l’uomo è girato di spalle oppure entrambi girati di spalle o un uomo dietro, una donna davanti abbracciati. Sono in un momento di non comunicazione: l’uomo che sta scappando non vuole dialogare, i cuori sono spezzati, le divergenze sono enormi quindi li ho voluti separare e, con ago e un filo, ho ricucito i due cuori. Due cuori sono attraversati da un filo spinato che sarebbe un dolore, una incomprensione, io do loro una tenaglia per spezzare quei dolori; una catenella dal cuore che esce nella spalla come senso di sicurezza, il lucchetto con la chiave perché si possa aprire, quando due persone non vanno più d’accordo, è meglio aprire quel lucchetto, aprire, quello vuol dire, non fare altro”.

Di che cosa ha bisogno affinché avvenga la magia della creazione?

“Sono partito dall’argilla, il primo materiale che ho manipolato è stato quello, ho fatto dei corsi, non ho frequentato scuole artistiche, ma studiato materie tecniche che comunque mi hanno aiutato tantissimo. Tuttavia all’interno sentivo la spinta, facevo anche un po’ di figurativo però non mi dava quella soddisfazione che volevo esternare, trasmettere cose che mi sono successe, nel corso degli anni. Poi sono passato alla pietra e successivamente alla tecnica Raku per la ceramica, è una filosofia bellissima che ho sposato nei primi anni 90, ho frequentato dei corsi tra Urbino e Pesaro, e mi sono innamorato della tecnica. Si utilizza un’argilla refrattaria che resiste agli shock termici, il manufatto si cuoce e poi si decora con dei pigmenti, che sono delle terre, quando si tira fuori dal forno rovente a contatto con l’aria i colori escono in base all’ossidazione. Dopodiché butto la creazione letteralmente nella segatura, sugli stracci e nella carta affinché riprenda fuoco subendo un altro processo che si chiama riduzione, attraverso questa affiorano altri colori. Quando voglio lo butto nell’acqua e si raffredda, in questo momento creativo sono presenti i 4 elementi della vita: terra, aria, fuoco, acqua”.

La sua è un’arte concettuale, su quali emozioni si basa?

“Mi giro e vedo il disagio. La mia arte concettuale si basa sul dare delle emozioni a qualcuno. Quando ricevo visite nel mio studio e mi dicono ‘mi hai riempito, avevo un vuoto, entrando qui, ascoltando la spiegazione delle opere mi hai dato soddisfazione, mi hai commosso’, per me è il massimo, mi interessa regalare emozioni.  Un’opera relativa al passaggio dal 2020 al 2021 l’ho sentita nel profondo, il 2021 era una pagina in bianco da riscrivere ma mi ha deluso talmente che, riportandolo su quella tela l’ho bruciato con il bruciatore, avevo dato una chance al 2021 e mi ha tradito, per via della pandemia mi ha deluso, infatti l’opera si chiama ‘Deluso’. Ho preso la bandiera ucraina e l’ho strappata, dalle crepe ho fatto uscire il sangue e l’ho cucita.  Quante persone hanno perso tutto? Il sangue l’ho fatto scorrere sulla bandiera russa perché quando i russi sventoleranno la bandiera su quella ci sarà il sangue ucraino. Sono un ottimista, lascio del bianco proprio per questo, c’è la guerra, tanti ragazzi stanno morendo al fronte, nonostante il nero cerco sempre di intravedere qualcosa di buono, e se non la trovo all’esterno mi rifugio e guardo alla vita familiare, ai miei affetti, ai miei figli a mia moglie”.

Come si esprime nel modo più totale? Attraverso quale espressione artistica?

“Per la scultura l’elemento che prediligo è l’argilla mentre per i quadri amo la tela di juta, ho bisogno di dare matericità.  Perché il sacco? Perché mi racconta, era il contenitore dove i nostri avi riponevano il grano, le olive, ho voluto riprendere quel materiale e portarlo ai giorni nostri. Questi sacchi li ho ripresi dai vecchi fondaci. Ho voluto lavorare le materie grezze che mi danno molta soddisfazione. I colori per me sono un elemento, non sono primari, nelle tele li ho volutamente assemblati con pezzi di sculture, argilla, filo, corda e altri componenti materici. In alcuni quadri esposti nella galleria Bianco di Pescara ho messo delle macchie di colore, tra una macchia e l’altra ho tagliato la juta e ho ricucito. Qui il colore che invade gli altri spazi rappresenta il voler avere ragione sostenendo le proprie idee, l’opera si chiama ‘Punti di vista’. Ognuno di noi ha un punto di vista, un modo di pensare, si può creare un dissenso tra di noi, ed è lo strappo che io ricucio, perché, per arrivare ad un punto d’incontro, occorre una mediazione”.

La scultura mi riporta immediatamente al legame con la terra, quanto conta per lei?

“Conta tantissimo perché vengo da una famiglia di contadini, mi passa per la mente quando ero piccolino, con cosa giocavo, quali soddisfazioni avevo, cosa che adesso non vedo più, vedo famiglie nuove e noto che non sanno guidare, c’è una perdita di valori. In una targa ho scritto con un chiodo: ‘la grandezza di un uomo si misura dalla sua umiltà’. Su un libro di legno ho scritto la parola ‘umiltà’ perché è un valore da rileggere. Amo la natura, la terra, i fiori”.

Franco Secone strappa, taglia, brucia, come mettendo le carte in tavola espone il disagio che gli sta esplodendo dentro, poi lo analizza, cerca una strada sicuro del fatto che la soluzione esiste e così la scorge, si incammina e, con una delicata e minuziosa operazione di rammendo, riesce a trovare la via giusta, riunisce, avvicina, lega, trova la verità necessaria per proseguire un cammino sereno.

“È possibile andare avanti, non importa quanto questo possa sembrare impossibile.”
(Nicholas Sparks)

Maria Zaccagnini

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