Ci siamo evoluti grazie alla conversazione, anzi al chiacchericcio. Pensiamo in base al numero di parole che conosciamo e ciò ci permette di far progredire la conoscenza. Il dialogo è fondamentale per l’essere umano, se bene la sua etimologia in greco sia data da ‘dia’ attraversare e ‘logos’ discorso, chi dialoga, in realtà si sofferma su qualcosa.
Quanta storia sull’importanza del linguaggio per l’evoluzione. L’essere umano ha trovato mille e mille modi per dialogare, anche solo pensando di farlo senza poi riuscirci davvero. Ma anche solo il pensare di poter dialogare con tantissimi individui rende reale, nella testa degli individui, la sensazione del contatto.
Ma concentriamoci sull’archeologia. Sapete quanto questa materia possa insegnare all’uomo del suo passato e del suo futuro, ma in troppi la vedono solo come una materia fine a sé stessa.
Quando ho iniziato il mio percorso universitario ero fidanzata con un ragazzo che di mestiere faceva il contadino. Lavoro nobilissimo e per certi versi, simile nella sua fisicità a quello dell’archeologo. Mi sentivo in linea con la mia scelta universitaria, finalmente avrei intrapreso il percorso tanto desiderato da quando avevo memoria che mi avrebbe portato ad essere un’archeologa, ma un giorno il mio ragazzo mi disse (con fin troppa spocchia) “Io produco cibo per le persone, tu cosa produci? A che serve l’archeologia?” potete immaginare il motivo per cui è subito diventato ex! Ma la domanda, se posta con curiosità e non con ignoranza sminuente, è davvero un gran bel quesito. L’archeologia produce sapere e il sapere porta alla consapevolezza, alla libertà, alla saggezza. L’archeologia scopre diamanti per la società, è materia di progressione e benessere, di armonia e pace. Più si conosce, meno si ha paura o dubbio nei confronti della vita, più si sta meglio. Ma ciò vale solo se ad usufruire di questa produzione non è solo il singolo ma la società intera. E quindi come far parlare l’archeologia con il mondo?
Spesso e volentieri ci si pone questa domanda tra le fila dei più grandi esperti in materia. Per troppo tempo l’archeologia ha parlato solo a sé stessa, rinchiudendosi in sale da convegno piene di tecnicismi atte solo al lustro scientifico, dimenticando totalmente il contatto con il mondo.
E bene, ciò non deve più accadere. La nostra materia deve entrare nel cuore, ma soprattutto nella testa del maggior numero di persone, nel modo più giusto possibile. Troppo spesso sento discorsi basati sullo stupore e sulla meraviglia: persone non esperte, magari appassionati, che millantano popoli e/o opere senza contestualizzarli. Guardatevi da questo perché non fa parte né del sapere né della conoscenza. Cercate di cogliere i contesti per intero non solo informazioni sparute e spaiate.
Quando si parla di storia e archeologia ci si deve sforzare di “disimparare ciò che si è imparato”, di immergersi in mondi con regole e leggi diverse. Bisogna pensare come pensavano, non con il nostro “parere personale”. Chi millanta qualcosa in particolare (se non per un motivo ben specifico) non vi trasferisce sapere ma disinformazione. E dato che la cultura cura la disinformazione fa ammalare il cervello costringendolo a pensare in maniere coercitiva in modo unilaterale.
Guardatevi da chi favoleggia, ascoltate chi parla di processi. Così come la medicina cura il corpo da una malattia, la spiritualità cura l’anima dalle angosce, l’archeologia cura la mente dall’ignoranza allenandovi a pensare in tanti modi diversi anche su di uno stesso concetto. Ginnastica per la saggezza.
Dott.ssa Andrea Di Giovanni