La vita infinita degli ideali

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Un evergreen del dibattito quotidiano di qualunque epoca è la scomparsa degli ideali: spesso questa è la posizione delle persone con più esperienza di vita nel giudicare il comportamento delle nuove generazioni, ma è davvero così?

Un primo punto fondamentale da considerare è il tempo che le persone hanno per comprendere l’importanza di avere degli ideali che guidino le proprie vite: evidentemente gli ultimi arrivati hanno avuto meno tempo per comprenderlo. Questi ultimi però non hanno disillusioni o condizionamenti pregressi, perciò prendono rapidamente coscienza di quanto scritto prima, ma lo fanno in modo utopico, tendendo perciò a credere di poter contribuire a realizzare qualcosa di molto elevato, in realtà irrealizzabile, ma a cui sanamente tendere. Poi l’esperienza di vita riporta i piedi per terra, ma è in quel frangente che non bisogna cambiare la bussola che ci guida.

Il fatto di non poter contribuire a realizzare un mondo perfetto non deve far sostituire gli ideali di vita con un cinismo epicureo e machiavellico: in questo seguo un po’ il pensiero di Hegel (ma solo un po’…). Non credo che oggi siamo in una società in cui gli ideali non siano più parte integrante della vita di tutti noi, solamente li condividiamo e li esponiamo meno che in altri momenti. Il distacco dalla politica da parte dei cittadini ne è un chiaro esempio: purtroppo ciò ha portato alla ribalta una massa di ciarlatani senza arte né parte, che con qualche slogan e qualche azione populistica hanno occupato i sacri scranni istituzionali, ma per fortuna sono in via di estinzione, insieme alle loro dannose azioni populistiche.

Questo ha altresì portato anche ad estremizzare le posizioni espresse da chi (in parte sanamente) non abbandona l’idea di un mondo ideale: due esempi lampanti sono la difesa dell’ambiente e la cancel culture.

La prima, mossa dall’oggettivamente condivisibile dovere di proteggere il nostro pianeta dai potenziali danni dell’attività umana, è in parte sfociata nell’azione di movimenti utopistici che arrivano a preconizzare un ritorno alla vita senza tecnologia: queste frange estreme dimenticano che nel medio evo la speranza di vita media era meno della metà di quella attuale, mi chiedo se siano disposti ad accettare questo cambiamento di prospettiva. Una parte di queste persone poi arriva ad azioni teppistiche di infimo livello: imbrattare opere d’arte, istituzioni o negozi alla moda è semplicemente stupidità umana e/o mania di protagonismo.

La cancel culture invece è una decontestualizzazione di fatti e personaggi dal loro tempo e dal loro ambito, con il fine ultimo di suffragare delle teorie utopistiche prive di fondamento: il fatto che poi personaggi più o meno famosi si prestino a sostenere questi malsani movimenti non ne certificano certo la bontà, ma li marchiano per quello che sono, cioè un fenomeno di costume. Anche in Italia abbiamo degli esempi, per fortuna meno impattanti, di movimenti che volevano sovvertire lo status quo, tipo quello che voleva aprire le istituzioni come una scatola di tonno, invece i suoi membri si sono perfettamente inglobati e hanno chiuso ancora meglio la “scatola”, oppure quel movimento il cui nome si ispira all’ittica, che voleva ribaltare completamente un certo partito politico, nel quale poi i leader si sono fatti eleggere in varie istituzioni.

Poi a ridare luce agli ideali, quelli con la I maiuscola, ci pensano anche degli eventi notevoli che risvegliano anche gli animi più sopiti: mi riferisco ai movimenti di protesta in Iran, alla strenua resistenza del popolo ucraino verso il sanguinario invasore del Cremlino, oppure alle proteste delle studentesse in Afghanistan. Di fronte a questi eventi anche il più disilluso e disincantato degli esseri umani non rimane indifferente e riporta a nuova vita le riflessioni giovanili sulla costituzione dell’isola di Thomas Mor.

No, gli ideali non sono spariti dalle nostre vite, sono ben presenti: come sempre hanno bisogno di essere curati e condivisi, perché senza ideali la nostra vita sarebbe completamente sprecata, o no?

Gerardo Altieri

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