Jason Pollock, l’invasione dei colori, la genialità dell’espressionismo astratto

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«Ho bisogno della resistenza di una superficie dura per dipingere. Sul pavimento sono più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del dipinto, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorare dai quattro lati ed essere letteralmente nel dipinto, in un turbine di energia e movimento resi visibili»

(Jackson Pollock)

Quando si osserva un dipinto, medievale o moderno che sia, ci si sofferma poco ad ammirare i dettagli di ciò che è rappresentato: un volto, un mazzo di fiori, una cascata, le dita di una mano. Ciò che colpisce in un dipinto è l’impatto visivo d’insieme. Possiamo essere colpiti dai colori utilizzati, dal paesaggio raffigurato o dalla scena d’interni rappresentata, ma osserviamo sempre il dipinto nell’insieme, senza soffermarci a pensare al tempo impiegato per la realizzazione di un dato dipinto o all’energia che la realizzazione stessa di quel dipinto ha richiesto.

Per le opere contemporanee l’impatto visivo è tutto. Prendete un dipinto di Jackson Pollock: non ci sono paesaggi, non ci sono volti, non ci sono animali. C’è solo colore, tanto colore, apparentemente “gettato” sulla tela senza cognizione di causa. In realtà, le opere di Pollock sono più che ben studiate.

Principale esponente dell’Action Painting, è stato uno dei principali pittori degli Stati Uniti in un periodo in cui, finita la Seconda Guerra Mondiale, il baricentro dell’arte si è spostato da Parigi a New York.  In un periodo storico in cui il boom economico e il capitalismo sono alle porte, un gruppo di artisti decide di non restare indifferente alle ferite lasciate dal conflitto. Tra loro, Jackson Pollock si rifiuta di continuare a dipingere al cavalletto fiori, paesaggi e nudi come se tutto fosse normale. Abolisce l’elaborazione statica del dipinto realizzato in verticale su un cavalletto ed inizia a sperimentare una nuova tecnica, completamente estranea ai canoni tradizionali: predilige la tela appoggiata al pavimento in modo tale da poterci camminare sopra e girare per tutti e quattro i lati ed inizia a far sgocciolare il colore direttamente sulla tela, con un gesto forte e deciso, energico. È la tecnica del dripping, completamente rivoluzionaria rispetto agli standard, tramite la quale Pollock diventa un tutt’uno proprio con l’atto creativo. Avviene una vera e propria fusione tra arte e movimento e il dipinto è testimone dell’energia scaturita da questa fusione.

Certo, la critica dapprima non ha compreso questo nuovo modo di fare arte e in effetti nel 1959 il Reynolds News scrive, riferendosi a un’opera di Pollock: “Questa non è arte, è uno scherzo di cattivo gusto”.

Beh si perché le sue opere non sono di facile comprensione. O piacciono oppure no, non ci sono vie di mezzo. Ciò che colpisce delle sue opere è proprio il momento in cui vengono realizzate. Pollock veniva colto da uno stato di trance che gli permetteva di entrare in contatto con la tela, e iniziava a danzarci intorno lasciandosi guidare dalla foga del momento e dall’energia che diventava tattile.

Esiste, per fortuna, un servizio fotografico stupefacente realizzato dall’allora giovane Hans Namuth che traduce in immagini ciò che abbiamo appena descritto, testimonianza fondamentale che permette di comprendere come il suo metodo non sia fondato su un utilizzo casuale del colore.

Jackson Pollock perde la vita in un incidente stradale a soli 44 anni, ma durante la sua breve esistenza ha lasciato un segno indelebile nel mondo dell’arte.

Roberta Conforte

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