La lezione di Arthur Schopenhauer
Nel 235 esimo anniversario della nascita di Arthur Schopenhauer, uno dei relativisti che per primo ha saputo scandagliare la sofferenza dell’animo umano, vale la pena, volendo rispondere alla domanda di questo editoriale, di considerare “Il mondo come volontà e rappresentazione”.
Alla volontà altruistica che redime se stessi e gli altri, si rende necessario contrapporre il sano egoismo che salva la vita, e dal momento che è proprio la volontà il male maggiore per l’uomo, la stessa che spinge agli atti più estremi, alla passionalità, la volontà che induce ad aspettative, speranze disattese e delusioni, tanto vale allontanarsene come appunto esortava a fare il filoso.
“Il mondo è una mia rappresentazione: ecco una verità valida per ogni essere vivente e pensante”. Arthur Schopenhauer
Se il mondo non è altro che una rappresentazione dell’animo umano, dunque strettamente dipendente dalla volontà del singolo, ecco cadere ogni sorta di rappresentazione idilliaca d’amore fraterno. Quello che l’uomo considera un atto di altruismo verso l’altro, quando filtrato dal ricevente è destinato a cambiare proprio perché interpretato da un animo a sua volta mosso da altre volontà. Se quell’altruismo poi, diventa identificazione, allora è il caso di fermarsi. L’amore è il sentimento che meglio incarna questo ragionamento: l’istinto feroce che porta a perdere ogni lucidità, finanche annullare sé stessi per la persona amata; lo stesso sentimento che porta all’identificazione, al dolore, alla disperazione, al fallimento. Si tratta allora di intraprendere un percorso d’amore verso sé stessi, il proprio ‘io’ è l’unica specie dalla quale non si può essere traditi, perché che senso ha donarsi al prossimo se non riconosce quella propensione?
“La felicità appartiene a coloro che sono autosufficienti. Dato che tutte le fonti esterne di felicità e di piacere sono, per loro stessa natura, altamente incerte, precarie, effimere e soggette alla sorte”. Arthur Schopenhauer
Virginia Chiavaroli