Il merito: l’incubo di una certa parte della società italiana

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Male assoluto o stimolo a dare sempre il massimo?

Una delle attuali contraddizioni della società italiana riguarda il merito: spesso sentiamo i giovani lamentarsi (impropriamente) che l’unico modo per essere apprezzati è andare all’estero, dove però il merito è una componente importante per il percorso professionale di una persona. Il tema comunque da molti di essi è rifiutano, condizionati dalla loro esperienza umana (studentesca in primis, ma anche sportiva). Quando qualunque persona prova a parlare di questo argomento in Italia, si minacciano sommosse popolari: perché?

Io faccio parte della generazione per la quale una punizione a casa o a scuola serviva a sensibilizzare i ragazzi su temi che con le buone non riuscivano ad entrare adeguatamente nei loro radar. Partendo da questo, si arrivava successivamente ai riconoscimenti, tramite i voti, ai ragazzi più meritevoli in termini di impegno e/o capacità intellettive. Devo altresì aggiungere che già all’epoca (faccio parte della generazione X) il merito purtroppo era completamente assente dagli apparati pubblici, dove tuttora vigono solo gli scatti di anzianità e i punteggi addizionali derivanti dal numero dei figli, dalla presenza di un disabile nel nucleo familiare, dall’assegnazione in sedi disagiate (che poi cosa vorrà mai dire, lo sanno solo gli gnomi stesori dei bizantini codici pubblici italici…), ecc. E non mi parlate di premi di produzione: sono dati al 99% dei dipendenti pubblici, perciò completamente snaturati.

Contrariamente a quanto affermano una certa parte dei sindacati e dei partiti politici, primi tra tutti quelli che insistono (in modo manifestamente erroneo) a dire che 1 vale 1, il merito è esattamente ciò che muove l’ascensore sociale: un ragazzo ricco, ma incapace, è già ricco, invece un ragazzo con natali meno facoltosi grazie al merito potrà salire i gradini sociali: è così difficile capirlo? Evidentemente sì, ma è anche la dimostrazione che 1 NON vale 1, altrimenti un concetto così facile lo avremmo capito tutti. Una persona malevola potrebbe pensare che demonizzare il merito permette a certi apparati di mantenere potere su un nutrito gruppo di persone (“ci penso io a te, che là fuori sono tutti brutti e cattivi: tu ti ricorderai di me alle elezioni o quando c’è da manifestare”), ma ciò lo pensa solo qualcuno cattivo, come me…

Oggi il merito spaventa troppa gente, in primis i genitori: molti sono convinti che educare le nuove generazioni alla meritocrazia le porterebbe a vivere delle forme di stress improprio. Se così fosse, noi generazione X (e anche in parte la Y) faremmo la fila fuori dagli studi degli psicanalisti, ma così non è. Il fenomeno non si limita solo all’ambito scolastico: pensate agli sport in cui un allenatore prova a giudicare i ragazzi, che i genitori considerano tutti dei piccoli Del Piero o delle piccole Vezzali, ma che magari non entreranno mai negli annali dello sport. Le aggressioni sono le stesse che oggi subiscono gli insegnanti (magari qualche esperto di legge mi spiegherà perché diamine questi genitori violenti non incorrano adeguatamente nel codice penale).

Quando questi ragazzi si scontrano successivamente con realtà lavorative che non siano uffici pubblici, vanno in crisi: il modello con cui sono cresciuti gli frana sotto i piedi, quindi preferiscono dichiararsi vittime di una società che non riconosce le loro presunte superiori capacità, piuttosto che provare ad analizzare il nuovo contesto e agire di conseguenza. Coloro che invece lo fanno traggono un vantaggio competitivo non indifferente, perché la concorrenza di coetanei che affrontano questi nuovi scenari è abbastanza limitata: sapete tutto ciò cosa comporta? Che anche persone non di spicco, ma che affrontano il presunto stress da valutazione meritocratica, si ritrovano a poter fare dei passi avanti: tutto ciò abbassa la media delle capacità della classe lavorativa, perché troppi membri della società si astraggono dalla lotta (in pratica “beati monocoli in terra caecorum”).

Cari ragazzi, cari genitori, cari sindacalisti, cari politici, il merito non è il male assoluto, tutt’altro: lo stimolo a dare sempre il massimo porta a raggiungere traguardi sorprendenti. I fallimenti della vita non devono spaventare, ma essere delle lezioni da cui apprendere come sviluppare meglio le proprie idee e obiettivi: credete che Jeff Bezos sia nato ricco, oppure che Amazon abbia avuto successo immediatamente? Non è così: i primi passi sono stati costellati da sconfitte, ma ciò non ha fermato il fondatore dal riprovare, ovviamente in modo diverso.

“Back to the future”: negli anni ’60 del secolo scorso i nostri genitori e i nostri nonni sono stati capaci di creare il miracolo economico, non spaventandosi di essere giudicati per quello che si era capaci di fare. Torniamo indietro a quella forma mentis e costruiamoci su il futuro: sono ragionevolmente sicuro che sarebbe di nuovo un gran successo…

Gerardo Altieri

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