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I soldi non fanno la felicità, anche se un po’ la aiutano…

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I soldi non fanno la felicità, anche se un po’ la aiutano…

Uno sviluppo economico tumultuoso

Sarò controcorrente, ma oggi la povertà, intesa come non riuscire ad avere da mangiare o non avere un tetto sulla testa, credo che abbia cittadinanza molto poco diffusa nella nostra nazione, anche se in altri stati ce l’ha eccome…

Nel secolo scorso la povertà generata dalle due guerre mondiali aveva condizionato le vite di tantissime persone, costrette ad emigrare per mancanza di mezzi di sussistenza di base: i distacchi traumatici dalla propria terra e dalla propria famiglia erano mitigati dallo spirito di sopravvivenza, ma lasciavano delle cicatrici molto profonde. L’altro lato della medaglia è stato lo sviluppo economico tumultuoso, che ha portato non solo il cibo in tavola e una casa degna di questo nome, ma ha acceso lo spirito edonistico ed emulativo, spingendo i consumi verso prodotti e servizi che facevano sentire almeno un po’ come “i ricchi”. Da qui fenomeni come la motorizzazione di massa, l’impennata delle vendite di elettrodomestici, le vacanze estive, ecc.

Verso la fine del secolo, data la diffusione ormai a tappeto di una certa comodità di vita, l’obiettivo è diventato quello di essere una persona che conta: il successo professionale non portava solo denaro, ma riconoscibilità e autorevolezza sociale. Non era più una questione di poter acquistare una vettura costosa o un orologio prezioso, ma avere potere, di qualunque natura si trattasse. In questo contesto nasce negli USA il fenomeno degli yuppies, cioè persone che si circondavano di lussi e che avevano puntato le proprie carte sulla carriera. Questo fenomeno ben presto arrivò anche in Italia e si estrinsecò nella rincorsa al successo professionale e allo sfoggio spasmodico di firme altisonanti, tipicamente per i capi di abbigliamento, gli accessori e le automobili (fu un fenomeno di costume talmente radicato che ispirò delle commedie italiane campioni di incassi al botteghino).

Il fenomeno poi si è ridimensionato ed è stato sostituito da un altro evento notevole: eravamo agli albori della finanza dotcom. Ogni settimana c’era una ipo (initial public offering) di Borsa su cui fare delle vere e proprie scommesse di investimento, per inseguire il sogno della moltiplicazione veloce dei capitali: non era importante sfoggiare lusso, ma potersi dichiarare vincente negli investimenti. In Italia era il periodo di lancio di aziende come Tiscali, Fastweb, Blu: oltre la metà di quelle aziende non è sopravvissuta e ha lasciato in tutto il mondo una striscia di morti e feriti tra gli investitori.

Oggi invece la ricchezza e l’ostentazione sono meno pressanti, grazie al fatto che la maggior parte degli happy few non è più protagonista dei rotocalchi: la famiglia Ferrero, la famiglia del compianto Del Vecchio, Giorgio Armani, i Benetton non si rendono protagonisti di servizi giornalistici, men che meno sfoggiano barche da miliardari o eccessi di questo genere (questa assenza di buongusto la lasciano volentieri ai loschi arricchiti dell’est Europa e alle loro combriccole). Anche in altre nazioni occidentali la morigeratezza accompagna la vita di persone estremamente ricche: Bill Gates o Warren Buffet, piuttosto che Joanne Kathleen Rowling non esibiscono i loro importanti averi.

Grazie a questo cambio di rotta, le persone meno abbienti si sentono meno “diverse” dai ricchi: sia chiaro, le differenze di capacità economica sono comunque sensibili, ma non c’è più lo sfoggio del 20° secolo, per fortuna. Oggi è tutto un fiorire di iniziative tese a sviluppare stili di vita sostenibili, non strillati, perciò meno stridenti con la media. Sicuramente la pandemia, la guerra e il rialzo dei tassi hanno incentivato questo sviluppo e si è appalesato un vantaggio importante: la differenza materiale tra persone di censo economico diverso si è affievolita, perlomeno la parte pubblica, cioè sembriamo tutti più uguali tra noi, e non necessariamente con un appiattimento verso il basso.

Vuoi vedere che questa è la volta buona per pensare ai valori più elevati della vita, che non richiedono un enorme appagamento materiale? Io dico di sì, e voi?

Gerardo Altieri

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