L’Uomo ad una dimensione
A me pare evidente che stiamo percorrendo un asse inclinato, che si basa sull’assenza del discernimento. La persona, oggi, ha smarrito la capacità critica del giudizio e si avventura nella ricerca vana, di individuare un senso proprio, una ragione d’essere che dia rilievo all’epoca in cui vive, e significato ad una esistenza che sia meritevole di essere annoverata fra quelle “che si distinsero per particolari aspetti…”.
Sicuramente è una sfida non di poco conto, se si pensa che sul periodo che stiamo attraversando, si è abbattuta la più subdola campagna per una decerebrazione delle masse che il tempo a noi conosciuto possa ricordare.
Come altrimenti si potrebbe definire questo processo di connessione permanente che induce qualsiasi cittadino senziente ad essere costantemente “sotto attacco”?
Come potremmo catalogare una fase epocale in cui, cosa mai verificatasi prima a memoria d’Uomo, persone rispondono a questuanti che comunicano al livello virtuale, che chi “è stato contattato” dovrà subito, e senza indugi, uniformarsi a linee di comportamento ossequiose rispetto a chi si è assunto l’onere di segnalare l’imprendibilità della proposta?
Sono trascorsi, esattamente, cinquantaquattro anni da quando le società e le università dell’Europa e degli Stati Uniti furono infiammate da quel fenomeno irripetibile che è rimasto celebre con il nome di “sessantotto”.
Pochi ricorderanno che il filosofo più riconosciuto come massimo e acuto analizzatore di quel tormentato ed esaltante periodo, fu Herbert Marcuse.
La sua opera più “radiografica” del sessantotto, fu “l’Uomo ad una dimensione”.
Cosa Marcuse voleva porre all’indice dei comportamenti che il capitalismo occidentale stava subdolamente diffondendo e perpetrando?
Che l’Uomo, inteso come “macchina votata al consumismo”, veniva docilmente adattato ad essere consenziente verso le sollecitazioni che le grandi imprese confezionavano, in modo da produrre e immettere nel mercato merce che poi avrebbe incontrato e verso la quale si sarebbe sentito attratto al punto da essere convinto di essere stato lui a compiere la “scelta originale” di quel prodotto.
Cinquantaquattro anni: un battito di ali di farfalla se pensiamo alla Storia delle Civiltà, ma che ci porta a riflettere che, se oggi procediamo come zombie e ci accalchiamo per assicurarci l’ultima generazione del Samsung o di altro prodotto tecnologico, vuol dire che questa insidiosa e subdola azione di indottrinamento subliminale ha scavato nel profondo di miliardi di persone. Saremo ancora in tempo per arrestare questo processo?
Ernesto Albanello