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Fidarsi è bene, ma verba volant, scripta manent

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Fidarsi è bene, ma verba volant, scripta manent

Più passano gli anni e più ci si rende conto che riporre fiducia nell’essere umano non è semplice. Quante promesse sono state pronunciate a parole che a fatti non sono mai state rispettate? Basta soffermarsi su questa domanda il tempo utile di un caffè per scoprire che nel corso della nostra esistenza è successo a più riprese di fidarsi della parola data da qualcuno per scoprire poi che si trattasse solo di una parola.

E come dice il detto “le parole le porta via il vento”.

Quanto è importante oggi fidarsi esclusivamente delle parole e quanto dei fatti?

Nel mondo greco la dea Pistis, la rappresentazione della fiducia, guidava la stipula di un contratto tra gli agricoltori, lo scambio di beni nei mercati e sotto la sua protezione venivano accolti coloro che, vedendosi morire, la invocavano per dire a chi lasciavano in eredità le loro proprietà.

Non c’era alcun documento scritto, ma il valore della parola era uguale a quello di un contratto o di un atto notarile: tutto era guidato dalla fiducia riposta in quel “sì” che valeva da contratto.

Oggi la fiducia non basta. Immaginate di stipulare un contratto di affitto semplicemente con un “sì” pronunciato dopo aver bonificato la prima mensilità più la caparra e il canone richiesto. Molto probabilmente quell’anticipo versato nella speranza di bloccare un appartamento non vi verrà mai restituito e pensereste di essere stati imbrogliati. Beh, quasi sicuramente lo sarete stati.

Oppure immaginate di passare tutte le varie fasi di un colloquio di lavoro e dopo aver fatto colloqui su colloqui finalmente incontrate i vertici di un’azienda. Immaginate che vi riempiano di lodi e vi illustrino le prospettive economiche: da sogno. Poi, però, dopo avervi fatto sognare, immaginate che vi dicano che non c’è nessun contratto da firmare, ma che basta fidarsi sulla parola perché tutto ciò che hanno promesso verrà elargito. Ed è proprio in quel momento che tutti i castelli fatti per aria si frantumano al suolo in migliaia di schegge affilate e dolorosissime. Nessuno, oggi, accetterebbe mai di ottenere un posto senza contratto di lavoro, giusto? Soprattutto in campo artistico, bisogna sempre tutelarsi, no? I nostri antenati dicevano: “verba volant, scripta manent”.

Eppure, in Italia ancora pochissimi artisti firmano contratti con gallerie, affidandosi principalmente a un rapporto di reciproca fiducia e apprezzamento per la qualità del lavoro sostenuto da entrambe le parti, dove una stretta di mano e un contratto di collaborazione concluso verbalmente hanno una valenza più alta di uno scritto.

Pur tenendo presente che, anche in assenza di un contratto scritto, obblighi, diritti e responsabilità tra l’artista e la galleria sono validi, porre le condizioni per un contratto scritto efficace a livello legale è sempre, ovviamente, una tutela per entrambe le parti.

C’è una quasi totale mancanza di contrattualistica e nel raro caso in cui questa sia presente, si tratta di contratti di forma che non descrivono il rapporto professionale effettivo, non riconoscono sicurezze e continuità e non garantiscono un compenso economico adeguato.

Ma, se si vuol lavorare nel campo dell’arte, purtroppo, queste sono attualmente le condizioni: fidarsi di un contratto verbale e pure sottopagato.

Però, com’era l’altro detto? Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio.

Roberta Conforte

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