
L’umanità è in viaggio da prima che si riconoscesse e si chiamasse con questo termine collettivo: umanità, appunto. È in viaggio “evolutivamente”, insieme a tutti gli altri esseri viventi e a tutte le altre cose apparentemente inanimate, in primis la stessa Terra, in un processo continuo di distruzione e rigenerazione, di trasformazione, quindi, che nel suo susseguirsi ciclico, soprattutto grazie alle grandi fasi naturali, ha costituito la quarta dimensione del percepito umano: il tempo.
Così il viaggio viene a diventare uno spostamento nello spazio e, pure, nel tempo. Un viaggio d’insieme, come una comitiva sconfinata, durante il quale i compagni di percorso sono essi stessi viaggio. Si trasformano mentre ci trasformano, e nel contempo, vengono da noi trasformati. E alla stazione successiva, in uno di quei momenti di “fermo immagine” che, fugaci, ci separano dalla prossima tratta, ci accorgiamo della nuova realtà che, nel frattempo, abbiamo contribuito a creare. Più “grandi” o più vecchi, più forti o più fragili, di certo diversi. Migliori o peggiori, chissà, forse lo sapremo alla prossima fermata. Quando arriverà. Se ci arriveremo.
Durante il viaggio, che qualcuno ha detto essere più importante della destinazione stessa, spesso non siamo pienamente coscienti di come saremo, noi, e come saranno le altre cose intorno a noi una volta giunti al prossimo (e provvisorio) punto di arrivo. Una sorta di incoscienza ci avvolge nel mentre, forse dovuto anche ad una limitatezza dei nostri sensi, delle nostre conoscenze o più semplicemente di informazioni. Soprattutto, se ci imbarchiamo su una nave che non guidiamo, con un biglietto in bianco e alloggiati nelle stive, senza oblò né bussola. Perché poi ci siamo saliti, proprio su quella nave, a volte è un mistero; altre volte è solo la logica e conseguente decisione rispetto ad una scelta precedente, o di chissà quanti altri bivi imboccati negli anni passati. Ovviamente, se questo è vero, è altamente probabile che qualcuno quella nave la guidi, e sappia dove sia diretto. Che qualcuno abbia più informazioni di noi o che abbia trovato posto sul ponte principale o almeno in una cabina “vista mare”. Insomma, un viaggio frutto di una miscela (a volte anche esplosiva) di volontà e incoscienza, tanto distanti tra loro quanto volutamente separate, eletti che sanno (ma che sanno scegliere?) e reietti che vengono condotti (guidati o trascinati?).
Seneca avvertiva che “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa in quale porto approdare”. Motivo per cui, la volontà senza conoscenza e senza competenza può fare più danni dell’incoscienza “a strascico”. Una volontà che finisce per crogiolarsi nella propria ignoranza, senza un contraddittorio con gli incoscienti relegati al buio se non, peggio, indotti a immaginare destinazioni favolose e desiderabili, magari proprio mentre si attraversa, a testa bassa, una zona di scogli affioranti, secche o iceberg di “titanica” memoria. Comandanti e primi ufficiali senza merito, se non quello di essere stati scelti per la loro fedeltà e per la loro cieca obbedienza, a loro volta tenuti all’oscuro dell’intera trama di un viaggio nei secoli, verso i secoli che verranno. Equipaggi pronti a lasciar affondare una nave per saltare sulla prossima, senza preoccuparsi del destino dei poveracci della terza classe.
L’umanità è in viaggio da millenni e mai come oggi sembra allo sbando. Navi troppo grandi e zeppe di viaggiatori per essere gestibili e per navigare in ogni mare, quieto o in tempesta. Navi assegnate a guide approssimative, forse proprio perché non è necessario che tutte arrivino a destinazione, anzi, meglio sarebbe avere la certezza che questo non accadesse. Sospinte da venti di burrasca, colpite da epidemie, impoverite nelle risorse disponibili ed utilizzabili e, nonostante tutto, lanciate in battaglia contro nemici proclamati tali da ammiragli comodamente seduti, a migliaia di chilometri di distanza, sulle loro poltrone foderate in “pelle umana”, il destino di queste imbarcazioni, le destinazioni di questi viaggi della follia, sembrano segnati.
Forse, ma è un forse carico di speranza più che di oggettiva convinzione, c’è ancora un atollo, un porticciolo, un punto intermedio al quale attraccare per ritrovare il senno e condividere conoscenze e competenze, tutto il necessario per invertire questa rotta segnata e dannata. Forse, se esiste in ogni viaggio un punto di non ritorno, forse, ma solo forse, potremmo non averlo ancora superato. Ma…
“Un viaggio ha un senso solo, senza ritorno se non in volo” cantava qualche anno fa (1995) Gianluca Grignani nella sua “Destinazione Paradiso”. Figuriamoci che tipo di viaggio finale potremmo ritrovarci a vivere se la destinazione fosse, come sembra sia, l’Inferno.
Cassandro Ripitt