Mi sono posto questa domanda per trattar un tema a me caro e oggi di accesa discussione, ovvero le proroghe delle concessioni demaniali marittime alla luce della Direttiva 2006/123 CE, meglio conosciuta come Direttiva Bolkestein e delle recentissime sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 17 e 18 del 9 novembre del 2021.
L’Italia, il Parlamento, il Governo, gli Operatori con aziende sorte su demanio marittimo, come stabilimenti balneari, pontili, circoli velici, ristoranti, cantieri, et cetera…tutti richiamati all’ordine dal Supremo Giudice Amministrativo che ha detto basta, in modo definitivo e perentorio, alle proroghe degli atti concessori sic et simpliciter e ha richiesto una riforma del settore per avviar procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione del bene pubblico “demanio marittimo”.
In realtà il Legislatore ultimamente una parvenza di riforma l’aveva posta accanto alla proroga di 15 anni fino al 2033. Aveva scritto nero su bianco che in tale periodo avrebbe avviato innanzitutto il censimento delle coste e dei propri beni per comprender lo stato delle coste.
Allora in un paese noto per progetti eseguiti e mai realizzati, scheletri nel deserto ed eco mostri sparsi un po’ ovunque si è deciso di ripartire dalla pianificazione.
Io son d’accordo.
Non lo sono quando si usa l’alibi della mancata approvazione della pianificazione urbanistica per bloccare iniziative lodevoli di altrettanto lodevoli operatori economici, ma laddove la pianificazione non vada ad ostacolare e bloccare “il costruire” – da intendersi non solo come edificazione ma anche come riqualificazione, ottimizzazione e sana gestione del demanio – questa sia essenziale per riuscire a render più performante l’utilizzazione del patrimonio naturale e costiero italiano.
Ovunque, ed anche qui, si parla dei nostri famosissimi quasi 7000 km di coste.
Litorali composti per lo più da angoli magnifici, senza uguali. Un patrimonio naturale, biologico e faunistico raro per non dire unico al mondo, nel quale siamo stati abituati a vivere e lavorare alla giornata, senza una vera e propria coscienza di quello che abbiamo tra le mani.
Per questo son convinto che abbia avuto un barlume di genialità il Legislatore quando ha disposto che la riforma del demanio marittimo parte innanzitutto dal censimento delle coste e dall’individuazione dell’esatta consistenza del patrimonio costiero. Conoscendo e diversificando si potrà infatti dar alla luce una riforma che possa valorizzare le peculiarità dei diversi comparti merceologici, la cantieristica, la pesca, il turismo, la nautica e non ultimo tutte quelle migliaia di attività senza scopo di lucro come ASD e circoli che vivono sulla valorizzazione e promozione dello sport, del mare, della cultura e dell’arte marinara.
Abbiamo tanto di non utilizzato, di abbandonato e non più valorizzato che prima di pensar a costruire nuove realtà costiere, andrà innanzitutto valorizzato l’attuale, riportando alla luce gioielli non più utilizzati o rendendoli accessibili o nuovamente attuali con nuove destinazioni. Stanno cambiando, ad esempio, i waterfront di diverse città di mare, penso a Cagliari o a Catania dove il centro storico vive sul porto e dove le banchine tradizionalmente commerciali o pescherecce stanno diventando sempre più turistiche. Il mondo cambia, muta, evolve e noi, operatori del diritto, abbiamo l’onere e l’onore di studiare e lavorare per far si che sia sempre possibile la nascita di nuove realtà che possano dare sviluppo economico, occupazionale, culturale ed artistico alle città di mare che viviamo.
Costruire lo intendo così non come la “cementificazione” continua ed incessante del nostro pianeta ma la naturale riqualificazione per rigenerare luoghi antropizzati senza snaturare ulteriormente l’incontaminato.
Avv Antonio Bufalari