Da passione a scienza: L’archeologia come mestiere e la sua storia sconosciuta

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L’archeologia nasce nel 1800 con la passione di giovani ricchi vogliosi di conoscere e di esplorare il mondo antico. Muniti di forze economiche per effettuare grandi viaggi e grandi lavori di scavo iniziò così la grande “mania” per lo studio del passato. Luoghi esotici attirarono l’attenzione dei giovani rampolli, ma anche località meno lontane ma altrettanto interessanti come Agrigento o Pompei.

L’archeologia era un passatempo costoso e impegnativo, nonostante ciò, la passione portò allo studio non solo del passato ma anche delle metodologie di indagine. 

Fu così che nacquero le scienze archeologiche e mano mano, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900 vi furono personalità annoverabili tra i primi professionisti della materia.

Continua così la storia di una professione giovane ed elitaria, attraversando due guerre mondiali e subendo interruzioni e riprese in ogni parte del mondo. 

Fu proprio nel 1900 che vide la luce Ranuccio Bianchi Bandinelli, figlio di un avvocato e proprietario terriero, con una madre proveniente da una ricca famiglia tedesca Bandinelli cresce nell’agio e nella libertà di poter dedicare la sua vita ad un’attività che non era ancora identificata come un lavoro vero e proprio. Innovatore dell’archeologia italiana e della storia dell’arte si specializzò nello studio dell’archeologia etrusca, laureandosi con una tesi sulle città di Chiusi e studiando successivamente una metodologia di definizione dell’arte etrusca a confronto con quella greca e romana.

La sua vita non si limitò all’archeologia, fu anche un attivo politico, si sottopose al giuramento fascista nel 1938 e fu incaricato come giuda di Mussolini e Hitler in visita in Italia. Dai suoi diari si capisce come in realtà fosse in disaccordo con l’ideologia fascista arrivando a pensare di mettere su un attentato ai danni dei due capi di stato.

Nel 1939 rifiuta l’incarico di direttore alla Scuola Archeologica Italiana ad Atene dalla quale era stato rimosso il direttore Alessandro della Seta perché ebreo.

Superata la guerra le scienze archeologiche divennero sempre più chiare, precise e definite, mutuando saperi da ambiti di studio diversissimi, dalla chimica alla geologia, dalla filologia alla medicina. Arrivati agli anni 70 del secolo scorso la paura della rivoluzione legata alle Brigate Rosse portò Andreotti ad istituire la criticatissima legge 285. Questa vide l’assunzione di tantissimi giovani italiani nelle file ministeriali e non solo, la si può considerare come un’azione atta a sottrarle la gioventù italiana alla tentazione rivoluzionaria.

Ciò permise a molte persone, anche non abbienti, di iniziare una carriera nell’archeologia facendo progredire in maniera esponenziale le scoperte e la precisione della materia.

Il ministero tramite la Soprintendenze archeologiche e le varie cattedre universitarie si mossero per la tutela, lo studio e la valorizzazione dei beni archeologici.

Questo momento felice per la materia finì però con la riforma del 2013 che vide l’unificazione delle Soprintendenze.

È da questo momento che il mestiere subisce una perdita consistente facendo tornare piano piano l’archeologo ad un lavoratore appassionato e studioso dedito alla ricerca ad un ricco che può permettersi il lusso di inseguire un sogno.

L’ascensore è salito e ora sta nuovamente scendendo… chi sa quale sarà il nostro compito per cercare di invertirne la rotta.

Andrea Di Giovanni

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