Contano ancora oggi il rispetto, la integrità morale, la coerenza, la parola data?
Penso che contino tuttora, ma sembrano essere “categorie sfumate”, come se chi le fa proprie allo stato attuale, è come se venisse percepito come un “passatista”, cioè uno non più in linea con i tempi.
Ma possiamo sostenere la tesi per cui chi non è coerente, quindi chi non si mostra affidabile, starebbe compiendo, ora, un “peccato veniale”?
Sarebbe come se si stesse distraendo rispetto ad una “dirittura di comportamento universalmente riconosciuta come tale”?
Ho la sensazione che chi agisce senza tenere in debito conto che “la parola è parola”, sia capace persino di camuffare un proprio modo di “non rispetto” arrivando persino ad accampare giustificazioni poco plausibili come “stesse scherzando”.
La pressione che si espande in modo rigido alle cose dette, casomai pure in tempi remoti, sia un “bacchettone”, quindi un tipo poco elastico e scarsamente flessibile alle situazioni che sono in “continuo cambiamento”.
La verità è che tutto sta scivolando su un terreno di superficialità dettato dalla possibilità di acquisire le informazioni in modo rapido, ma non approfondito.
Ne consegue che la “curva dell’attenzione” rispetto a riflessioni e considerazioni che richiedono più tempo, maggiori analisi, osservazioni prospettiche da diverse angolazioni, è scivolata su tempi davvero ristretti.
La gente vuole capire, ma poi afferra quel poco che serve per vedere confermata la propria impostazione iniziale.
Così facendo, non cambia mai una visione delle cose, resta sempre ancorata ad una percezione per la quale sente il bisogno di elementi rassicuranti.
Andare verso qualcuno che gli prospetta uno scenario che gli modifica la “strada verso cui sta camminando”, diventa motivo di ansia.
Perché accade questo? Perché siamo tutto fuorché “alberi con radici molto profonde e ben ramificate sotto il terreno”: quindi siamo “fluttuanti” perché insicuri. Ci accontentiamo di “poche parole d’ordine” che non ci fanno pensare e siamo attaccati ai “social” dai quali riceviamo “conferme” che ci “conformano”.
Diciamo pochi “no” perché ci esporrebbero alla inquietudine di una maggioranza che pensa poco e quindi è propensa a farci dire “si, un attimo!” al solo scopo di tamponare un disagio profondo dettato da un cammino sul quale ci siamo avviati, che non ci convince ma per il quale non prendiamo vie diverse, non conosciamo bivi che possano spronarci alla consapevolezza interna.
Sapremo uscire da questa “conformazione”? Difficile dire, tra quanto: certo è che “un pensiero unico” poco riflettuto e non proiettato verso una visione, ha un respiro corto.
Alla prossima!
Ernesto Albanello