La pandemia ha portato nuovi modelli di gestione del lavoro e del tempo.
Il lavorare da casa, lo smart working ha portato all’allontanamento dalle grandi città ed ha permesso di riscoprire un modello di vita a dimensione più umana stando in paesi meno caotici.
La posizione contrapposta fra la città (che è tale se conta almeno alcune decine di migliaia di abitanti) ed il borgo (che invece può contare su qualche centinaio di residenti) costituisce una “spaccatura”, nel senso che rileva (o per lo meno ha rilevato) una marcata divisione delle due tipologie di centri abitati che rappresentavano anche due modi contrapposti di intendere l’esistenza: stimolante, vivace anche se convulsa quella praticata nella prima, sonnolenta, ma anche contemplativa e meditativa quella che ha il borgo come palcoscenico.
Il tendere ad una concezione del lavoro che può anche svolgersi a distanza, o “da remoto” e quindi pensare che uno “smart working” generalizzato finisca per lasciarsi convincere “a rintanarsi” in un piccolo agglomerato di case, mi pare francamente semplicistico e riduttivo.
Innanzitutto perché il tempo “da lavoro” corrisponde (o dovrebbe corrispondere) ad un terzo delle ore della intera giornata: a meno che lo “smart working”, con la scusa che è comodo, che lo si può esercitare da casa, crei una mescolanza di “tempi” per cui alla fine non si sa quando finisce il tempo da destinare alla famiglia, quello da dedicare ai propri hobbies, quello da riservare al riposo.
Allora poi, a questo punto, nascono le perplessità rispetto ad una “scelta per il borgo” solo in quanto il lavoro non ti richiede un continuo contatto “di persona” con altri.
Come la metti con i bambini che vogliono frequentare i propri coetanei che casomai vanno in piscina, oppure desiderano far parte di un coro di voci bianche o tu che vuoi incontrarti con i vecchi compagni di scuola per un aperitivo cenato?
A meno che per tutte queste “varianti in corso” la risposta sia sempre la stessa: “ti sposti con la macchina”.
Allora finisce che la “bucolica” vita all’interno di un borgo si trasforma in un infernale “andirivieni “da” e “verso” il centro abitato più grande che offre maggiori occasioni di incontro.
Insomma, il borgo oggi presenterebbe non pochi elementi attrattivi, ma la condizione è che vada coniugato con una “qualità della vita” che ti induca a rinunciare a tutte quelle sollecitazioni o seduzioni del centro più grande, che poi alla fine interpretano il bisogno di inseguire “realtà più circoscritte” tipiche del borgo.
Forse dovrà passare ancora un po’ di tempo, ma la prospettiva è che i costi di una grande città cominciano ad essere proibitivi per fasce sempre più estese di popolazione ed allora chissà che lo smart working non finisca per rappresentare “la testa di ariete” per cambiare di sana pianta il nostro modo di vivere, cambiandolo senza avvertire che la spinta principale sia il dover rinunciare a qualcosa?
Ernesto Albanello