Affamati o smemorati?

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Quando non è tutto così scontato

Faccio parte della generazione X, quella che qualche ragazzetto, che ciuccia ancora il latte dalla mamma, per provare ad offendere, chiama (tra l’altro erroneamente) “boomers”, associandoci ai baby boomers, che sono la generazione precedente alla mia (la qual cosa sarebbe pure un complimento).

Noi ‘X’ abbiamo goduto dei grossi sacrifici che hanno fatto i baby boomers, noi stessi ne stiamo facendo per i nostri figli, la generazione Y (o millenials) e la generazione Z, anche se in modo meno cruento e invasivo rispetto ai nostri genitori. Il dramma è che alcuni dei nostri figli, anche a causa di genitori troppo protettivi, non colgono questo aspetto e ritengono che tutto sia dovuto e che qualunque difficoltà o ostacolo della vita debba essere risolta da qualcun altro. È l’errore che si fa quando ad un affamato si dà il pesce già pescato, invece di insegnargli a pescare.

Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso abbiamo assistito ad un incremento importante dei consumi: tanti status symbols sono diventati alla portata non solo degli happy fews, nuovi prodotti e servizi hanno reso migliori le nostre vite, con un incremento del potere d’acquisto che veniva meno aggredito dall’inflazione rispetto agli anni ‘70 e a i primi anni ‘80. Noi eravamo ben consci di tutto ciò e ne godevamo: molte più vetture in circolazione, molte più persone in vacanza, molti più pranzi e cene fuori casa, ecc.

Tutto ciò ad un certo punto è diventato un given, un qualcosa dato per scontato, finché non sono arrivati dei fattori esogeni che hanno trasformato questo equilibrio stabile (in realtà io l’ho sempre considerato equilibrio indifferente – maledetta ingegneria!) in equilibrio instabile. Un esempio di questi eventi è stato la crisi dei titoli di stato italiani del 2011: i tassi di interesse si sono impennati e chi aveva un mutuo a tasso variabile ha visto crescere spaventosamente la rata mensile. Contestualmente anche le offerte di finanziamento per acquistare una macchina, una vacanza, un elettrodomestico, sono diventate molto meno vantaggiose e ci hanno ricordato che il benessere raggiunto non è protetto dai fattori esogeni di cui sopra.

Quello era un perfetto monito a non comportarsi (troppo) come cicale, a non guardare sempre l’erba del vicino, ma a mantenere sanamente vivo in noi il desiderio di avere qualcosa in più, che non fosse però il garage con le vetture di Cristiano Ronaldo o la residenza newyorkese di Donald Trump. Negli anni immediatamente successivi il mercato automobilistico però ha ripreso a correre, il tasso di ricambio dei cellulari era diventato quasi annuale e le file ai ristoranti hanno continuato ad allungarsi. Parallelamente però si sono ingrossate anche le fila dei “NEET” (Not in Employment, Educational or Training), cioè di coloro che non lavorano, né studiano o fanno corsi di formazione: in pratica persone passive che non fanno nulla.

Poi è arrivato il Covid, poi la speculazione sulle materie prime, che è nata prima che il sanguinario diavolo russo invadesse l’Ucraina, ma è stata da essa peggiorata, e si è ripreso a parlare insistentemente dell’aggravarsi della povertà. Premesso che la grillina decrescita felice mi è lontana millenni luce, la povertà oggi secondo me non è l’assenza di tre pasti al giorno o di un tetto sulla testa, ma la forzata riduzione degli acquisti compulsivi e/o emulativi: il given di cui sopra non può più essere tale per tutti quelli per cui lo era prima, i quali si stracciano le vesti e si sentono “poveri”.

E adesso che si fa? Continuiamo a chiedere prebende sociali, sprecando importanti risorse pubbliche, oppure quei soldi li investiamo per creare posti di lavoro che i NEET devono essere messi nelle condizioni di non rifiutare? Riprendere a dare il giusto valore ai soldi o al tempo (i NEET lo sprecano completamente) è un dovere dai cui non avremmo dovuto esimerci nel recente passato, ma è un lusso che oggi non possiamo assolutamente più permetterci: non siamo per fortuna in una vera e propria economia di guerra, ma la sveglia che è suonata in quest’ultimo biennio ci serva per (ri)svegliare nelle nostre coscienze la fame di realizzazione personale, prima, e materiale, dopo.

P.S. ma la povertà non era stata sconfitta dai fedeli del grande apriscatole parlamentare?

Gerardo Altieri

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