Sarà per la sua costante presenza nelle nostre vite, sarà perché costa poco, l’acqua la diamo per scontata: ci ricordiamo del suo valore solo per il lasso di tempo in cui scarseggia visivamente, come in questa estate partita in modo torrido. In questo breve frangente iniziamo a fare tanti buoni propositi, che spariscono insieme alle prime piogge autunnali, senza riflettere sul fatto che quelle piogge (e le nevicate) non bastano più a rimpinguare le riserve naturali e artificiali.
Senza dilungarmi sui comportamenti virtuosi che in pochi applichiamo (sì, io sto attento da sempre a non sprecarla), affronterò un tema scottante e divisivo: la privatizzazione delle infrastrutture per la gestione di questa preziosa risorsa. Sottolineo le infrastrutture, NON la materia prima.
Senza affrontare la tematica dal punto di vista dei complessi temi giurisprudenziali, voglio affrontare il tema dal punto di vista gestionale, partendo dall’allarmante dato di fatto che oltre il 40% dell’acqua che passa attraverso le infrastrutture di trasporto va sprecata, principalmente per un ritardo di aggiornamento e per scarsa manutenzione delle strutture stesse. Se a valle ci aggiungiamo che tutti noi, chi più chi meno, non chiudiamo il rubinetto mentre ci laviamo i denti, ci facciamo il bagno e non la doccia, laviamo la macchina almeno un paio di volte al mese, non usiamo i programmi eco con la lavatrice e con la lavastoviglie, ecc. ecc., la situazione diventa insostenibile.
Per la mai abbastanza menzionata legge dei grandi numeri, i piccoli gesti quotidiani che potremmo fare tutti noi già mitigherebbero in modo sensibile il problema, ma gli sprechi che sono a monte dei nostri rubinetti casalinghi vanno risolti diversamente.
Personalmente mi vengono in mente pochi esempi di gestione virtuosa di aziende parastatali o di enti pubblici, perciò il modo più veloce ed efficace per risolvere il problema di gestione delle infrastrutture è quello di riprendere in mano lo scottante dossier della privatizzazione degli enti di gestione delle infrastrutture stesse, NON della risorsa, chiaro?
Ricordo bene ciò che successe 11 anni fa durante la campagna referendaria, quando tanti si stracciavano le vesti paventando una gestione solo indirizzata a generare profitti, dimenticando capziosamente gli enormi sprechi di denaro pubblico negli enti di gestione. I nostri avi latini dicevano che “in medio stat virtus”: perché non cercare una via di mezzo? Volete continuare a vedere perso il 40% dell’acqua che passa nei tubi? È come se andaste a fare la spesa e il 40% di quello che comprate lo buttaste nell’immondizia perché scade o perché lo fate andare a male: a casa vostra gestite così il frigorifero o la dispensa?
Io credo che con una gestione di aziende a maggioranza privata prima di tutto aumenterebbe la produttività del personale (questi enti sono sacche di clientelismo), liberando risorse per fare manutenzione e ammodernare le strutture di distribuzione, così da ridurre la perdita dell’acqua: sapete che in Svezia o in Svizzera questa percentuale è pari a un fisiologico 10% e non 40% come da noi? Per ciò che riguarda il profitto da generare (è pur sempre un investimento privato), questo andrebbe inquadrato ex-ante in sede di negoziazione in un ragionevole range e dovrebbe arrivare non (solo) aumentando le tariffe, ma soprattutto efficientando la gestione delle aziende coinvolte, seguendo le regole del Codice Civile, cioè con il buonsenso del pater familias.
Relativamente al prezzo dell’acqua, sappiate che a Milano un metro cubo d’acqua costa appena 0,8 €, a Roma circa 2 €, invece a Parigi 4 € (che corrispondono anche alla media dell’Europa occidentale) e a Berlino 7 €. Ciò è dovuto (almeno in parte) a scelte di politica sociale nazionale, che però genera un consumo medio degli italiani pari a 250 litri pro capite al giorno, invece dei 150 in Francia e in Germania.
Lasciando questi pur importantissimi temi politico-economici e tornando alla nostra quotidianità, credo che sia il caso che iniziamo tutti ad avere comportamenti virtuosi perché, in mancanza di questi, sarà la scarsità di materia prima che ci forzerà ad applicarli. Se continuiamo così, quando andremo a casa di amici a cena non porteremo più una bottiglia di vino, ma di “eau de la fontaine”…
Gerardo Altieri