La volontà di cambiare non è una predisposizione che la persona, normalmente, non vive con molta scioltezza e fluidità.
Tanti adagi del tempo passato, anche se non conosciuti dalle giovani generazioni, invitano a desistere dai cambiamenti.
“Chi lascia la strada vecchia per la nuova, sa quello che lascia, non sa quello che trova” è la più diffusa, ma altre sollecitazioni vengono sussurrate in linea con il non cambiamento.
“Arte di tata, mezza imparata” ad esempio, vuole invitare il figlio che sta guardandosi intorno alla ricerca di un indirizzo di studio o di lavoro, a non scartare quanto realizzato dal padre, come uno studio legale o un ambulatorio medico o una farmacia o una bottega di artigiano o una fattoria agricola, perché casomai lì c’è un punto di partenza utile, casomai aggiornandolo ed innovandolo, ma non annullando una strada già intrapresa da chi ha “tracciato un solco”.
Ne vogliamo trovare un’altra, famosa, di massima all’insegna di non andare verso delle incognite? “Mogli e buoi dei paesi tuoi” sta a significare che le unioni matrimoniali come il bestiame ricoverato nella stalla sono da preferirsi, se provenienti dai territori prossimi.
Questo perché, ognuno fin da bambino, da ragazzo o da giovane, ha imparato a come considerare la donna e l’universo femminile ha saputo meglio rendersi complementare alla psicologia maschile e…ovviamente, fatte le debite differenze, questo deve essere prerogativa dell’uomo allevatore nei confronti delle razze bovine.
Cosa significa, però, tutto questo? In una parola sola, l’elogio della staticità, la proterva azione di conservare gli equilibri consolidati, senza considerare le molteplici variabili che si innescano e che inducono a guardarsi intorno per trasformazioni che sono richieste come impellenti (recessione demografica, mobilità da una parte all’altra della nazione e/o del continente per ragioni lavorative, quindi circostanze che si determinano nel conoscere persone dell’altro sesso e gli approcci sentimentali che possono conseguirne, ecc.).
Voglio dire, per tornare al titolo della riflessione, che nella situazione attuale, il cambiamento non è un desiderio bizzarro o stravagante, ma una necessità che s’impone perché ormai degli assetti antropologici che hanno retto fino agli anni ’80 non c’è più traccia.
Resta pur sempre quel qualcuno che sa guardare avanti, oltre e, fatte le debite constatazioni, “vuole un cambiamento”.
Oggi nel nostro Paese, operare nella direzione di un cambiamento all’altezza di questo nome, significa superare quell’assurdo ed inconcepibile scarto reddituale che pone i lavori intellettuali molto meglio retribuiti e quelli manuali non appetibili sotto il profilo economico.
Fortunatamente, anche se con lentezza, questi equilibri vanno cambiando: imprenditori come Brunello Cucinelli, titolare di una grande impresa del cachemire, pagano meglio coloro che svolgono un lavoro esecutivo e, in misura ridotta, quelli che esercitano un lavoro di natura intellettuale.
Questo, a dimostrazione che la persona dedita alla progettazione ed al coordinamento dei diversi reparti, avrebbe sicuramente maggiori opportunità di ricollocazione, a differenza di chi rimane a svolgere un lavoro dal profilo esecutivo.
Ernesto Albanello