
“nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo”
Le idee monetarie dei sovranisti odierni sono frutto di teorie errate riconducibili agli scritti ideologici di Ezra Pound e di Giacinto Auriti. Dopo aver fatto breccia fra gli attivisti di movimenti cattolici integralisti, le teorie in questione hanno pervaso i programmi di vari leader politici italiani Antonio di Pietro, Beppe Grillo, Antonio Serena, Alessandro di Battista etc . Il sacerdote Luigi Villa e padre Quirino Salomone e molti altri esponenti del clero, non solo di quello tradizionalista, hanno scritto e percorso ogni angolo della penisola divulgando gli scritti del giurista abruzzese.
“Non si può comprendere come sia stata possibile la realizzazione storica della sovranità monetaria, se non si considera la fondamentale esperienza del popolo ebraico dopo la fuga dall’Egitto. Gli ebrei partirono dall’Egitto sottraendo a quel popolo l’oro e l’argento.
Ma non è stata una “sottrazione”: furono le donne egiziane a donare agli ebrei l’oro e l’argento in questione (Esodo 3,21; 3,35). Auriti scrive che è storicamente provato che gli ebrei fin dall’inizio usarono le fedi di deposito da loro emesse, fedi simili a quella che si rileva nella Bibbia nel libro di Tobi come moneta comune ed espediente per indebitare e dominare i popoli. Egli sostiene che quell’espediente ebraico è attuato oggi dalle banche centrali per creare denaro dal nulla, per dominare i popoli. Auriti sostiene che gli ebrei maturarono la consuetudine di sfruttare il giubileo settennale stabilito da Mosè, per indebitarsi reciprocamente anche senza averne bisogno. Inoltre, sempre sfruttando il giubileo stesso e le promesse di pagamento da loro sottoscritte, inventarono lo stratagemma di azzerare il proprio debito scaricandolo su altri popoli.
Teorie di Aurili che furono messe in discussione considerate peraltro non scevre di accenti antisemiti, ma che sono da approfondire e che egli fu di uno dei tanti uomini che si ribellarono all’ imposizione mediatica monetaria e di coscienza dei nostri giorni.
Non può dubitarsi che l’iniziativa del giurista abruzzese costituisce un importante riscontro scientifico di sociologia giuridica ed economica senza precedenti in Italia, soprattutto perché proviene da un’associazione privata (SAUS) e non da un ente dotato di potere pubblico, come potrebbe essere, se non lo Stato, il Comune. Deve anche aggiungersi che l’esperimento di Auriti sollecitò l’attenzione non solo delle forze politiche italiane, oltre che della stampa nazionale, ma anche di numerosi organi di informazione stranieri, a dimostrazione dell’interesse destato dalla nuova rivoluzionaria formula monetaria, che configurò la moneta come strumento di diritto sociale avente contenuto patrimoniale come detta l’art. 42 della costituzione al secondo comma, che riconosce la proprietà per tutti aggiungendo in piena legittimità alla sovranità politica anche quella monetaria in capo alle collettività nazionali.
Ma la realtà del funzionamento del sistema bancario non è più quella immaginata da Auriti e Allais e che corrispondeva ad una epoca, quella della moneta di conio metallico, storicamente superata. Anzi, a ben vedere, anche in quell’epoca, le banche non hanno mai funzionato limitando la loro attività a quanto preventivamente raccolto in termini di depositi monetari, aurei o cartacei. E questo non per un complotto, ma per la spinta endogena delle necessità dell’economia di mercato che ha bisogno, per funzionare nella sua forma capitalista ossia moderna, di maggiori quantità di liquidità e quindi di superare la deflazione naturale dell’oro o quella monetarista della restrizione legale della base monetaria cartacea.
Riconosciuta l’esigenza endogena dell’economia moderna, il punto politicamente cruciale sta piuttosto nel sorvegliare continuamente e provvedere costantemente a che la “creatio ex nihilo” di moneta bancaria non si risolvi in speculazione ma svolga una funzione di credito sociale. Questo è il compito più grande che attualmente si richiede allo Stato ma che esso, oggi, non sembra in grado di adempiere essendosi fatto imbragare ed imbrigliare dal potere finanziario apolide e globale.
Percorriamo a ritroso le varie tappe che la moneta segue prima di giungere nelle nostre mani, consentendoci di acquistare un caffè. La moneta che tocchiamo ci arriva direttamente dalle banche, che la cedono alla collettività; più specificamente la prestano. L’utilizzo della cartamoneta nasce dal fatto che, al fine di regolarizzare gli scambi all’interno della società civile, servisse un’unità di valore facilmente gestibile. Un tempo gli scambi venivano fatti con metalli preziosi, principalmente oro e argento. Ciò comportava difficoltà nel quotidiano, basti pensare al peso o al problema del trasporto. Le banche iniziarono dunque a stampare cartamoneta, utilizzandola come valore corrispettivo dell’oro detenuto nelle loro riserve. Ad ogni banconota corrispondeva una certa quantità di oro metallo. Un esempio concreto: sulle vecchie lire era possibile notare la scritta “pagabile vista al portatore”. Significava che, in qualsiasi momento, era possibile per il possessore della banconota recarsi in banca e scambiare la stessa con la quantità d’oro corrispondente detenenuta nelle giacenze. Perchè questo meccanismo ha smesso di funzionare. Quando? Il 15 Agosto 1971, con la fine degli accordi Bretton Woods, quando sotto la presidenza Nixon gli Stati Uniti smisero di vincolare il dollaro alle riserve auree.
Di fatto, la Federal Reserve Bank cominciò a stampare moneta senza copertura aurea. La stessa cosa fu fatta dalle altre banche statali. Il valore della moneta non corrisponde più alla quantità di oro presente nelle giacenze dato che quel corrispettivo non esiste più. Il suo valore è semplicemente pratico, commisurato ai meri costi di tipografia. Il che toglie la proprietà della moneta alle banche. Nonostante ciò le banche stampano banconote di grossa taglia e le prestano, pur sostenendo costi bassissimi.
Come fa uno strato di filigrana costato così poco ad assumere un valore ed un potere di acquisto mille volte maggiore? Chi è il responsabile di un tale incremento di valore? I responsabili siamo noi. Noi popolo che “mettendoci d’accordo” attribuiamo alla moneta un certo valore per convenzione. Ciò fa di noi i legittimi proprietari della moneta.
A chi appartiene la proprietà della moneta? Alla luce dei fatti avvenuti nel 1971, la risposta del professor Auriti è: al popolo. L’acquisizione di valore da parte della moneta, avviene solamente dal momento in cui essa è accettata dalla collettività, che ne diviene di fatto la proprietaria.
Nell’estate del 2000 la piccola città di Guardiagrele, in Abruzzo, fu testimone di una vera e propria rivoluzione: l’emissione e la diffusione di una moneta alternativa coniata dal Professor Giacinto Auriti in base alla sua teoria del valore indotto della moneta stessa. L’esperimento fu un successo, una dimostrazione di come i cittadini possano esercitare la sovranità monetaria e liberarsi dalla morsa del debito perché il valore della moneta, come spiegò il Professore, è puramente convenzionale. Il Simec venne stroncato poco tempo dopo dall’intervento della Procura di Chieti, ma a distanza di quasi vent’anni l’eco delle gesta di Giacinto Auriti, il primo a parlare di Reddito di Cittadinanza, ancora risuona in Italia e nel mondo, a testimonianza che alla “moneta di Satana”, come la chiamava l’ideatore del Simec, si può disubbidire.
Giacinto Auriti, abruzzese doc, professore universitario cofondatore dell’università di Teramo, grande testa, economista, scrittore, saggista, imprenditore e molto altro ancora, era un poundiano di ritorno, perché partendo dalle considerazioni del grande economista e poeta Ezra Pound, elaborò una teoria economica che intende la moneta come unità di misura del valore e, come tale, accettata convenzionalmente da chi la usa come mezzo di scambio, divenendo così uno “strumento” dello scambio di beni.
Laureatosi a Roma, nella Capitale insegnò diritto della navigazione, diritto internazionale, diritto privato comparato e teoria generale del diritto. Nel 1977, mentre era Presidente del Centro studi politici e costituzionali, diede alle stampe il pamphlet Principi ed orientamenti per una moneta europea, in cui descrisse le linee guida per l’adesione ad una moneta unica europea. Nel 1993 è tra i docenti fondatori della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Teramo, della quale è stato anche preside. Nell’ultimo periodo della sua vita, pur senza aver mai compiuto studi di teoria economica ma partendo dagli argomenti trattati dal poeta statunitense Ezra Pound, fonda la scuola di Teramo nel campo del diritto monetario, sviluppando una teoria economica che intende la moneta come unità di misura del valore e come tale accettata convenzionalmente da chi la usa come mezzo di scambio, divenendo così uno “strumento” dello scambio di beni ossia teoria del valore indotto della moneta nel suo carattere convenzionale risiederebbe il diritto di chi ne accetta la convenzione, ossia il popolo, di esigerne la proprietà . In questo senso, le banche centrali che sono delle società per azioni private, secondo Auriti ricaverebbero profitti dal signoraggio sull’emissione di cartamoneta, assumendo una importante responsabilità nell’origine del debito pubblico. Tale teoria, trarrebbe ancora più forza dall’abolizione del rapporto diretto fra moneta, convertibile in oro, e riserva aurea, già stabilita dagli accordi di Bretton Woods, avvenuta su iniziativa di Richard Nixon il 15 agosto 1971, che avrebbe trasformato l’attività dell’emissione della moneta in un puro esercizio tipografico, sottolineando ancor di più il carattere convenzionale del valore monetario creato dall’accettazione del popolo di tale convenzione.
Auriti esponeva questo aspetto della sua teoria con una suggestiva metafora: «Immaginate che Antonio Fazio, governatore della Banca d’Italia, sia in volo sul Pacifico. L’aereo precipita e lui si lancia con il paracadute atterrando su un’isola abitata solo da indigeni. Fazio porta con sé una valigetta con 100 milioni di lire. Va dagli indigeni, chiede da mangiare, un alloggio e propone di pagare con le banconote che ha al seguito. Gli indigeni lo guardano e si mettono a ridere. Ovviamente essi non riconoscono il valore convenzionale di quei pezzi di carta. Perciò dove sta il loro valore? Nel popolo che l’accetta!».
Le teorie di Giacinto Auriti non hanno mai trovato accoglimento in ambito economico, né alcun suo articolo è mai stato pubblicato su riviste scientifiche di rilievo e ricadono tra quelle catalogabili come teorie del complotto.
Negli anni Novanta Giacinto Auriti conduce una serie di iniziative come segretario generale del “Sindacato Antiusura” e come legale rappresentante dell’associazione culturale “Alternativa sociale per la proprietà di popolo”. Tra queste chiede al Tribunale di Roma di dichiarare “la moneta, all’atto della emissione, di proprietà dei cittadini italiani ed illegittimo l’attuale sistema dell’emissione monetaria, che trasforma la Banca Centrale da ente gestore ad ente proprietario dei valori monetari”.
La Banca d’Italia, opponendosi alla richiesta di Auriti, scrive: “La visione della moneta e delle funzioni monetarie che l’attore intende accreditare è palesemente distorta e completamente infondata” … “l’accettazione da parte della collettività, lungi dall’essere causa del valore della moneta, ne rappresenta in realtà solo l’effetto, sicché il sillogismo deve essere rovesciato: non è vero che la moneta vale in quanto è accettata, ma semmai, come la storia e la cronaca stanno a dimostrare, che essa è accettata solo in quanto abbia un valore. Di qui la necessità che tale valore, rispondendo ad un fondamentale interesse pubblico, sia difeso e garantito dalle Pubbliche Autorità, funzione nei moderni stati affidata alle banche centrali.”
Il batter moneta, continua la Banca d’Italia è espressione della sovranità statale, e quindi “il valore della moneta trae il proprio fondamento solo ed unicamente da norme dell’ordinamento statale, che, per solito, disciplinano minutamente la creazione e la circolazione della moneta, ne sanciscono l’efficacia liberatoria, ne sanzionano la mancata accettazione in pagamento e tutelano la fede pubblica contro la sua falsificazione ed alterazione.”
A proposito della questione della proprietà della moneta, sollevata da Auriti nell’ambito dello stesso procedimento, la Banca d’Italia sostiene: “La domanda attorea è poi, anche nel merito, destituita del benché minimo fondamento.” perché si basa sulla “premessa, completamente errata” che manchi “nel nostro ordinamento una norma di legge che indichi il proprietario della moneta all’atto dell’emissione”. L’appropriazione della moneta da parte della Banca d’Italia, continua il ragionamento della Banca, secondo Auriti “si baserebbe su una consuetudine interpretativa contra legem.” Ma, fa notare la Banca, “i biglietti appena prodotti dall’officina fabbricazione biglietti della Banca d’Italia costituiscono una semplice merce di proprietà della Banca centrale, che ne cura direttamente la stampa e ne assume le relative spese (art. 4, comma 5, del T.U n. 204/1910).” Acquistano la funzione e il valore di moneta solo quando la Banca d’Italia li immette nel mercato e ne trasferisce la proprietà ai percettori.
Aggiunge la Banca che considerato che essa stessa si assume le spese di fabbricazione dei biglietti e l’imposta di bollo, mentre gli utili annuali, effettuati i prelevamenti e le distribuzioni di cui parla l’art. 54 dello Statuto vengono devoluti allo Stato ai sensi dell’art. 23 del T.U. n. 204/1910, si evidenzia “l’assoluta inconsistenza ed insensatezza delle tesi” di Auriti, secondo il quale “l’erogazione della moneta sarebbe effettuata dalla Banca d’Italia addebitandone allo Stato ed alla collettività l’intero ammontare senza corrispettivo”. Pertanto, conclude la Banca, “non è dato riscontrare alcunché di arbitrario o di illegittimo nelle prerogative esercitate in campo monetario dalla Banca centrale, perché, contrariamente a quanto preteso dall’attore, l’intera materia è compiutamente disciplinata dal legislatore, in modo tale che nessun aspetto attinente all’attribuzione o all’esercizio della funzione di emissione può dirsi regolamentato da consuetudini interpretative e, meno che mai, da consuetudini contra legem.”
La richiesta non venne accolta. In seguito due progetti di legge, il n. 1282 dell’11 gennaio 1995, presentato dal senatore Luigi Natali e sottoscritto da altri 17 Senatori della Repubblica facenti parte di 5 diversi partiti, e il n. 1889 dell’11 febbraio 1997 ripropongono le tesi di Auriti, anche se in Senato non verranno mai discussi.
Scopo di questo esperimento della teoria del valore indotto che Auriti ha propugnato per oltre trentacinque anni era quello di verificare “in corpore vili” che i cittadini possono per convenzione creare il valore della moneta locale senza alcun intervento nè dello Stato nè del sistema bancario;; ma l’esperimento rappresentò già un successo rilevantissimo, perchè apportò un punto fermo in materia monetaria, ovverosia l’accertamento sul piano pratico e fattuale del principio che il valore è dato alla moneta solo da chi l’accetta sulla base di una convenzione, e non da chi la emette (banca). In coerenza di quest’ultima affermazione più volte ribadita dal professor Auriti, l’operazione economica svoltasi a Guardiagrele, a detta dei quotidiani di quel periodo, rivitalizzò il commercio e quindi la critica economia locale. Nella circostanza il professor Auriti rilasciò la seguente dichiarazione piuttosto lapidaria: «È come se avessimo messo del sangue in un corpo dissanguato».
Non può dubitarsi che l’iniziativa del giurista abruzzese costituisce un importante riscontro scientifico di sociologia giuridica ed economica senza precedenti in Italia, soprattutto perché proviene da un’associazione privata e non da un ente dotato di potere pubblico. Deve anche aggiungersi che l’esperimento di Auriti sollecitò l’attenzione non solo delle forze politiche italiane, oltre che della stampa nazionale, ma anche di numerosi organi di informazione stranieri di quel famoso esperimento di grande caratura come d’altronde ha dimostrato durante tutto l’arco della sua vita il Genio Auriti lottatore insuperabile del sistema bancario.”
Una banconota che parla più di mille parole: se oggi Auriti fosse ancora vivo avrebbe messo sicuramente i bastoni tra le ruote a questo sistema monetario, perchè avrebbe avuto l’appoggio popolare che un tempo cercava, perchè oggi il popolo ha capito….e lo vive fino al collo….
Maria Ragionieri