
Esiste una realtà, ahinoi, riguardo il servilismo fantozziano da parte degli Italiani?
Molto probabilmente la nostra società non è ancora pronta a seguire in maniera automatica, quella vera forma di anarchia, attraverso la quale tutti sappiamo rispettare noi stessi e il nostro prossimo, senza dover essere corretti a seguire norme e regole di comportamento civile! Soprattutto umano! Il Ragionier Ugo Fantozzi personaggio amatissimo dal pubblico di tutte le età, che riuscì ad incarnare perfettamente l’italiano medio e ad anticipare tematiche attuali come il mobbing, la crisi economica, il divario sociale e l’ignavia politica e allo stesso tempo con la sua ironia, a far ridere l’Italia per decenni e racconta le disavventure di un uomo vessato dalla società di quel tempo, ambientate tra la fine degli anni ‘70 e gli anni ’80 alla continua ricerca del suo riscatto. Riscatto che puntualmente resta un indefinito miraggio. Fantozzi quindi rappresenta la mediocrità, un personaggio sopraffatto dagli eventi a cui non reagisce quasi mai, salvo qualche inutile scatto d’ira, che lo porta perfino a peggiorare le condizioni. Tutta la vicenda fantozziana assume tratti tragicomici, simboli di una società incapace di premiare il merito e di azzerare le disuguaglianze. Analizzando a fondo la saga cinematografica, si riconoscono alcuni tratti tipici dell’atteggiamento fantozziano in ciascuno di noi. A chi d’altronde non è capitato di soffrire di vittimismo o di tentare una personale rivoluzione contro il sistema senza avere però successo? O chi non ha vissuto almeno un’esperienza frustrante con colleghi e superiori menefreghisti?
Fantozzi rappresenta la maschera definitiva della società contemporanee, la grande comicità svela l’aspetto tragico di ogni esistenza umana mostra un aspetto eterno dell’animo umano calato in una contingenza storica e sociale.
L’individuo nella società capitalistica di massa è soltanto il lavoratore, i cui ritmi sono scanditi dal lavoro, i cui passatempi sono decisi dall’organizzazione sociale e riguarda assolutamente tutti gli esseri umani nel loro rapporto con il potere che assume appunto la forma del lavoro il quale non è che, ridotto all’osso, una specie del tutto particolare dell’esercizio del potere gerarchico. Ma la storia di Fantozzi poteva fungere da strumento di consapevolezza e da spinta verso la liberazione. Un incentivo a prendere definitivamente le distanze da una gerarchia opprimente, e soprattutto da una corsa alla carriera che creava figure mostruose. Dunque Fantozzi, se calato in quegli anni di duro conflitto sociale, rappresentava una miccia incendiaria in grado di contribuire a spingere tanti a lottare per ottenere condizioni migliori di lavoro e di vita.
Un modo di intercettare l’opera di Villaggio è solo attraverso segmenti e rischia di ridurre Fantozzi ad una semplice macchietta, uno “sfigato” con i pantaloni alti che vive in un’Italia che oggi sembra lontanissima. Eppure dietro quella straordinaria maschera del nostro Cinema c’è una corrosiva satira sociale che percorre un pezzo della nostra storia, ossia una ‘creatura di Frankenstein’ che trae la sua origine dalla più comune delle esperienze umane: il lavoro da dipendente in una ditta. Quelli di Fantozzi non sono neanche stereotipi, bensì archetipi di lavoratori e animatori aziendali che sembra siano sempre esistiti e non abbiano alcun tipo di data di estinzione davanti ed è tutto giocato sulla morale e la contraddizione della lotta di un incontro che non risolve, che non porta a nulla se non alla continuazione di un rapporto di sudditanza e idolatria, dove il lavoratore vuole appartenere, seppure sotto forma di “pesce” che nuota nell’acquario, alla cerchia di adepti del mega direttore galattico. È un uomo senza alcuna qualità, con l’unica fortuna di essere in un Italia che gli garantiva di essere medio senza sforzi, velleità o altro.
Nei film di Fantozzi non vediamo solo quell’Italia, ma ogni angolo del mondo occidentale: ovunque ci siano degli uffici e dei capi-ufficio e sicuramente c’è qualcuno come Fantozzi, anzi, scopriamo ogni angolo del mondo ed ogni epoca storica: ovunque ci siano padroni e servi, c’è un Fantozzi. Analogamente, Fantozzi non rappresenta il tipo dell’italiano medio bensì il tipo universale dell’uomo medio oppresso dagli uomini di potere e quanto più il potere è elevato tanto più spesso è il muro di segretezza che lo cinge, perché i plebei non devono e non possono sapere quali trame stanno tramando i potenti. Dai primordi della storia ad oggi, la segretezza è requisito fondamentale del potere. Certo, solo nel microcosmo surreale di Fantozzi può succedere che un capo costringa i dipendenti a vedere film d’autore, ma nella realtà succede qualcosa di simile: su Sky è andato in onda uno spot, qualche tempo fa, che in qualche maniera richiama l’episodio fantozziano della Corazzata Kotiomkin e che ha provocato un certo sconcerto tra critici noti, la suoneria dello spot di Sky è l’equivalente contemporaneo dell’immortale: “Per me la Corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca”. Se nel microcosmo esagerato di Fantozzi gli impiegati sono costretti a sorbirsi contro voglia i classici del cinema per non perdere il posto di lavoro, invece nello spot i quattro amici altolocati si dicono entusiasti di Kiarostami, Godot e Stockhausen solo per fare bella figura fra di loro, quindi, Fantozzi non insulta la cultura in sé stessa ma c’è appunto l’obbligo di fruirla per un perbenismo sociale, e la cultura non deve essere fruita per altro che per amore della cultura stessa, senza altri fini. Nello slogan anti-Kotiomkin non c’è solo la protesta contro la cultura imposta dall’alto ma anche la rivendicazione dell’orgoglio di essere delle persone normali, che ai più squisiti frutti del genio umano preferiscono di gran lunga le partite di calcio.
Ma il ragionier Fantozzi sarà sempre con noi? nel mondo del lavoro di oggi ci sono ancora dei Fantozzi? Ma ancora di più, ci sono ancora direttori, manager, come il Megadirettore Galattico?
Certo, il salto della realtà e del costume dal primo dopoguerra a oggi è stato abissale. A quei tempi, realtà e parodia erano catene di montaggio, capi che sapevano e comandavano tutto, a volte senza nessun perché e percome. Oggi, il lavoro che serve ha le persone al centro, richiede a tutti capacità di collaborare, assumersi responsabilità, accettare sfide, necessita di capi che non comandino, pur preservando gerarchie e responsabilità, ma che mettano le persone in grado di lavorare al meglio per crescere tutti insieme con i risultati dell’azienda.
Parliamo di un’epoca, gli anni Settanta, che viveva di una fortissima conflittualità sociale, orientata secondo i protagonisti di questo processo a costruire una realtà più giusta, più civile, più inclusiva quindi, una generazione che accetta tutto pur di sopravvivere in un universo che svaluta completamente la sua dignità.
Il mondo di Fantozzi è la copia molto brutta del mondo reale: talmente brutta che è mostruosamente bella. Dunque, deridendo la bruttezza dei soggetti e degli ambienti comici ridiamo della bruttezza che inevitabilmente è presente nella realtà, e ridendone facciamo pace con la realtà tutta, impariamo ad accettarla, e solo nel momento in cui la accettiamo, ci accorgiamo che nella realtà c’è più bellezza di quanta ne appaia immediatamente ad uno sguardo superficiale.
L’italiano è normalmente privo di satira e non accetta la critica diretta, motivo per cui utilizzava le iperboli: Fantozzi è rinchiuso in auto novantasei ore, oppure cade da centosettanta metri. Queste iperboli fanno si che nessuno si identifichi direttamente in Fantozzi, pur associando la sua immagine allo zio, al cognato, al vicino di casa o al capo ufficio. Tutto quello che solo pochi decenni fa sarebbe sembrato estremo e inaccettabile a molti, oggi è realtà quotidiana indiscutibile, naturale.
Maria Ragionieri