Quando il bello non parla e il brutto racconta
La bellezza, spesso, è deleteria.
Purtroppo, è la verità, specie se a questo concetto sono legate iniquità che con la bellezza hanno poco a che fare.
Per l’arte e l’archeologia la bellezza è un concetto molto più relativo di quello che l’opinione comune creda; se crediamo che bello sia ciò che ci emoziona l’arte appartiene sicuramente a quel gruppo per cui questo aggettivo può essere utilizzato. Ma se ci fermiamo solo a ciò che c’è dentro di noi, a ciò che in noi le opere suscitano, siamo solo dei grandi egoisti.
Dobbiamo pensare che ciò che noi chiamiamo arte, per gran parte della storia dell’uomo, sono state solo opere su commissione. Opere pagate per raccontare una storia, di gloria o di paura, ma comunque manufatti umani atti alla celebrazione di qualcosa o qualcuno. Il bello, come il brutto, nell’arte, ha il valore della comunicatività. Si può guardare un dipinto o ascoltare un movimento, percependo l’emozione all’interno dall’artista senza però capirne nettamente il significato.
Si gode di qualcosa senza conoscerla nella sua interezza, si ascolta solo una porzione del tutto data dal sentimento immediato che l’opera ci suscita senza comprendere la grandezza complessiva.
La massa va rieducata, va fatto capire a tutti che dietro ad un vaso, ad un edificio, ad un quadro o ad un componimento musicale deve esserci studio e comprensione. Anche solo per interesse personale, non necessariamente tutti devono essere professionisti.
Vi racconto un’esperienza da archeologa; mentre studiavo dei cocci protostorici per la mia tesi di magistrale, mi sono sentita dire da più di un collega, storico dell’arte o archeologo, che il materiale che stavo studiando era “veramente brutto”…non ho mai capito il senso del commento. È veramente necessario definire un frammento di vaso ad impasto o un pezzo di intonaco di capanna “brutto” se racconta più storia di quanto possa mai fare una collezione di vasi decorati?
Un semplice coccio può rivelare una storia dove prima non c’era nulla. Può, quindi, essere messo a confronto, per importanza, con un altro, ennesimo vaso dipinto che poco aggiunge al nostro sapere? Uno è bruttino ma ci restituisce dati prima mancanti, l’altro è bello e si aggiunge ad una collezione di belli che ha già parlato abbastanza.
Il brutto spesso ha molto più valore del bello se visto tramite la lente della conoscenza. La scienza non si ferma mai alla superficialità dell’aspetto.
Perché valutiamo il mondo in base alla nostra prima sensazione senza scendere nelle profondità dei significati?
Ciò che è esteticamente gradevole ci avvicina, è chiaro, è un fatto antropologico, il brutto spaventa per una questione di sopravvivenza. Ma che mezzi abbiamo oggi per valutare ciò che è brutto? Dei mezzi sbagliati e meno sottili di quanto si pensi.
Il brutto è sottovalutato, perché brutto è considerato tutto ciò che è fuori da un canone estetico ferreo e troppo rigido. Ma se ciò che consideriamo superficialmente brutto avesse da dare più di ciò che percepiamo come bello? Il rischio di scartare il sapere più profondo ci dovrebbe far riflettere.
Cerchiamo di valutare più a fondo la realtà che ci circonda. Ciò che può apparire poco gradevole agli occhi può donare grande leggerezza all’anima ed avvicinarci all’estinzione della sete del sapere.
Dott.ssa Andrea Di Giovanni