
Pep Marchegiani è un’artista Abruzzese classe 1971 esattamente nato ad Atri. Le sue opere urlano impregnate di ironia provocatoria, distopie dell’arte, denunciano i poteri del mondo e le loro guerre nello scenario orwelliano che vede reggente il Dio Consumismo in tutte le sue sfumature. Una carriera carica di successi: nel 1989 fonda il suo giornale satirico chiuso dopo tre anni per troppe “beghe” legali dei politici presi di mira, prosegue con il suo costante interesse per il mondo dell’arte dal 1991 come fashion designer e art- director per il collezionista d’arte Wicky Hassan; fonda il suo Brand fino alla pubblicazione che lo ha osannato e designato come artista. Da lì la sua arte comincia a girare per il mondo; nel 2010 registra il suo marchio e viene invitato alla biennale del cinema di Venezia a esporre l’opera Pop, che raffigura Giovanni Paolo II. L’Huffington Post lo inserisce tra le 16 opere più significative assieme a Cattelan e Bacon. Nel 2011 riprende ciò che si era interrotto durante l’esperienza editoriale e come il più delle volte accade, la natura delle cose fa fluire esattamente ciò come deve essere, a quel punto la denuncia viene rappresentata con la sua arte: Ilva Magique a Taranto, il ponte della vergogna e Fu-renze e molto di più fino a diventare il punto di riferimento per l’arte in Abruzzo collaborando con il collezionista Massimo Fazzini. La sua carriera nel mondo dell’arte contemporanea è un bagliore vero è proprio che revisiona un po’ tutti i meccanismi dell’arte, l’arte deve essere un urlo liberatorio un vero è proprio strumento per gli artisti contemporanei. Così nel 2020 nel pieno delle più catastrofiche condizioni mondiali a causa della pandemia, decide di portare a compimento una nuova collaborazione con la testata La Città e di far urlare le sue copertine. Dodici copertine sfacciate, anarchiche e dirette, che raccontano una comunicazione forte e cariche di ragionamento, dando una nuova veste alla nota testata in metamorfosi. Ora il suo brand segna inconfutabile il nuovo prodotto: La Città Magazine. Pep Marchegiani è il marchio plasmante di questo nuovo progetto, arrivato a tre uscite che hanno avuto non solo successo, ma scosso notevole interesse per il sodalizio fra arte e parola stampata phygital. Una vera è propria garanzia la presenza del noto artista atriano che va a suggellare lo stesso obiettivo dell’editore Giampiero Ledda. A me il piacere e l’interesse di approfondire attraverso questa intervista, il pensiero di Pep Marchegiani che ci parla di questo scenario mondiale che questo numero vuole riportare tra arte e guerra.
Pep Marchegiani benvenuto e grazie per il tuo tempo, in questa terza uscita abbiamo deciso di parlare di questa sconcertante situazione che ha preso forma definitivamente il 24 febbraio scorso: “perché il titolo La guerra è una montagna di Merda?”
La guerra è una montagna di merda! così come la mafia è una montagna di merda! ho voluto parafrasare e allo stesso tempo omaggiare Peppino Impastato perché non si dimentichi, perché il suo coraggio gli valse la vita. Tuttavia il paragone non è del tutto corretto in quanto nella merda la vita prolifica mentre nella guerra no, la vita si annulla a favore degli interessi di quelle merde che la dichiarano, di quelle merde che sono “disposti” a mandare al macello sogni, paure, sorrisi e progetti dei cosiddetti sacrificabili. Rimane la storia che da nobildonna quale è ben ricorda i carnefici ma soprattutto gli eroi. Mai dimenticare.
Come vede l’artista la guerra? L’artista vede la guerra dalla stessa prospettiva dell’uomo, non vi è nessuna differenza. Non c’è differenza fra uomo e artista e la guerra coinvolge carnalmente tutti quanti. Mi fa specie che parliamo solo della guerra in Ucraina quando in realtà, sono settantacinque anni che ci sono delle guerre ininterrotte, dalla Palestina, al Darfur passando per il Vietnam, piuttosto che per la Bosnia; questa è una guerra ovviamente non giusta, non lo è mai, perché nessuna guerra ha un senso, però vedo tutto questo come una manovra dei media che hanno deciso di mettere i riflettori su quello che sta succedendo, fra i due classici schieramenti bene e male Ucraina e Russia, per qualche secondo fine senza dubbio alcuno, non dimentichiamoci che abbiamo avuto una guerra a ottanta km da qui.
Un’artista ha il dovere di rappresentare quello che accade, ovvero la guerra nella sua manifestazione totale oppure inneggiare alla pace?
L’artista ha il dovere di raccontarsi indipendentemente dalla pace o dalla guerra e di quello che gli succede intorno. Ci sono sicuramente degli artisti nella storia, che vengono condizionati raccontando battaglie e guerre ad esempio Michelangelo, Picasso con la sua Guernica, hanno rappresentato la guerra ma, sfatiamo il mito dell’artista che gela la storia il momento, deve raccontarsi in prima persona.
In questo numero del magazine abbiamo deciso di “esporre” le tue opere come fossero in una vera e propria galleria; cosa vogliono raccontarci della guerra?
Sono opere create a cavallo fra il 2015 e il 2018, voglio raccontare “Giocattoli di Guerra”, una ricerca dove metto in primo piano i bambini e il gioco, le prime vittime della guerra, i primi dimenticati in tutte le guerre. Risalto non tanto il bambino in essere, come persona, ma la sua voglia di giocare che è molto vicino alla sfumatura di ricostruire dei bambini. Quei giocattoli sono rotti da esplosioni e che vengono ricostruiti dai bambini stessi che sanno dare valore al concetto di ricostruire perché i bambini se la sanno cavare sempre molto meglio degli adulti, non mi rappresenta nessuna opera in particolare per me sono tutte uguali.
Se fossi ministro della cultura cosa faresti per l’arte? La finanzierei, senza colpo ferire. Cosa che non fanno i politici “poverini” hanno altro a cui pensare. Ricordiamoci che la cultura la fa da padrona sempre soprattutto dopo i periodi bui e la storia lo racconta bene. Finanzierei tutto ciò che riguarda la cultura, toglierei tutti i budget militari e li investirei per la cultura non ci dimentichiamo che la penna è l’arma più potente.
E noi cittadini? Cosa dovremmo fare nei confronti dell’arte sempre se fossi ministro o avessi la possibilità di proporre una riforma? Chiuderei il becco a chi parla troppo sui social e in tv spegnendoli! Passerei in prima serata ininterrottamente in televisione, programmi che vedono la cultura come oggetto. Deve essere un dovere per chi crea la produzione di svago ed intrattenimento dalla scatola nera e ora sulle piattaforme web non dare spazio alla pochezza e all’approssimazione ma alla cultura. Esattamente come fa come la trasmissione di Alberto Angela, che ottiene notevoli e considerevoli numeri, li mi si accende la speranza perché asfalta tutti i programmi spazzatura. Ma penso sia anche logico noi Italiani abbiamo la cultura del bello nel nostro Dna, abbiamo vissuto per secoli nella cultura plasmandola in tutte le sue forme e lo facciamo ancora, stiamo attraversando un vero e proprio medioevo e ci dimentichiamo tutto senza farci caso e riempiendoci di sciocchezze. Ed è un vero peccato.
La tua ispirazione è direttamente condizionata dalla denuncia? ogni tua opera d’arte è denuncia a prescindere? Io fondamentalmente utilizzavo lo strumento comunicazione per denunciare, ma a che serve? che denunci a “sordi” c’è poco da denunciare. Le persone che non vogliono udire non odono. Ora voglio costruire e ho cominciato a fare un ‘arte più costruttiva, il mio obiettivo è di massificare e comunicare la distribuzione della cultura.
L’opera che avresti voluto creare tu, che hai sempre invidiato per genio?
Le mie? (ironico ma non troppo). Guarda nella storia ti faccio il nome di due artisti grandissimi, più che di opere:
Artemisia Gentileschi che è riuscita ad imporsi in un secolo di assoluta difficoltà per le donne artiste e dare una vera e propria lezione rivoluzionaria. La sua grande forza è senza eguali coraggiosamente si è fatta strada in un mondo di arte fatto solo da uomini, che se vogliamo dirla tutta ancora oggi è così, si è appropriata di uno spazio sfidando i grandi artisti contemporanei e li ha battuti.
Il secondo è Ligabue. E’ l’unico che ha saputo tradurre quello che la Natura sente, vive e prova e le ha dato la parola. Una sorta di asceta, unico nel suo genere grazie a lui si è definito un modo di comunicare arte in maniera completamente differente da come si era sempre fatto e poi nessuno più è riuscito a replicare. Ha fatto parlare la Natura. Non riesco a scegliere opere preferite, non ti dirò mai a me piace il quadro di Leonardo da Vinci la Gioconda piuttosto che altri e tantomeno le mie, non riesco a dirti l’opera esatta ma a me attrae il messaggio, mi coinvolge e mi stimola. Probabilmente l’opera che non ho mai fatto.
Poi quando la farò ti chiamerò…(ironico)
L’arte prima nella storia è stata a servizio della guerra o di quelli che la scrivevano la storia stessa ma oggi è cambiato totalmente tutto quando esattamente? Ricordiamoci che nella storia prima l’arte era una sorta di “mega fumetto”, la Chiesa ha fatto raccontare la Bibbia e i vangeli su ogni parete sacra, affrescata italiana e non solo, sappiamo benissimo che l’arte poi cambia la sua funzione con Marcel Duchamp; più che funzione e mezzo correlato alla guerra, vorrei parlare di un altro fenomeno, il passaggio più importante dell’arte è quello del salvataggio che l’uomo ha operato nei confronti delle opere d’arte. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale la prima cosa che è stata messa in sicurezza all’Ermitage di Pietroburgo, furono proprio tutte le tele tutte e le opere d’arte. Ricordiamoci della grande donna mecenate Peggy Guggenheim che mise in salvo tantissime opere, lei recuperò tutti gli artisti e le opere comprandole e portandoli nella propria collezione. Così salvandoli. Per l’arte c’è un salvataggio che deve essere prioritario, sempre ed è accaduto anche ora in Ucraina; l’arte è uno strumento eterno e non è come l’uomo che la realizza, siamo pro tempore. Non dimentichiamoci che il museo del Louvre senza opere potrebbe essere un mero edificio, come un condominio o magazzino, il valore sono le opere che eternamente ci racconteranno al futuro. perché l’arte è uno strumento fondamentale per le nostre memorie e le nostre storie.
Pep lasciaci anticipandoci su cosa stai preparando e un messaggio ai lettori della Città Magazine che vuole osannare l’arte in ogni sua sfaccettatura.
Io sto studiando su un concetto di economia circolare che a breve esporrò in Italia. Per i nostri lettori leggete tutto, anche quello che non è La città Magazine, qualsiasi cosa che può essere letto e messo a beneficio della propria persona. La cultura pone fine alle paure, è sempre e solo questa che fa comprendere tutto anche una guerra. Chi non riesce a comprende il diverso e chi non capisce è solo trainato dalla paura e l’unico antidoto è solo ed esclusivamente il sapere e la cultura. L’unica formula che ci aiuta ad uscire dal baratro dell’ignoranza.
Manuela Cermignani