Non è più tempo di piccioni e fave

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È sempre più difficile affrontare qualsiasi tema di ampio respiro senza essere costretti ad attraversare un vero e proprio “campo minato”. Uno sterminato campo minato. Un territorio, quello del ragionamento, del dialogo e del dibattito, che già reso dissestato e pressoché impraticabile negli ultimi due decenni, è stato disseminato di ogni tipo di ordigno esplosivo, progressivamente e in maniera incrementale, dalla fine del 2019 ad oggi. Ogni argomento approcciato rischia di incocciare e di urtare le convinzioni, personali o eterodirette che siano, le sensibilità e gli schieramenti che, per volontà di semplificare e, quindi, di dirigere, sono prevalentemente divisi in “pro” qualcosa e “no” qualcosa (che più correttamente dovrebbe dirsi “contro” qualcosa, ma anche per questo attestato di ignoranza, dobbiamo ringraziare una certa comunicazione…).

Parlare oggi della situazione, in piena evoluzione, dei costi dell’energia, delle utenze domestiche e industriali, del gas, delle fonti rinnovabili e delle alternative per fronteggiare una crisi epocale, economica e finanziaria, del nostro Paese e di buona parte di quelli occidentali, fa sicuramente parte di quegli argomenti ad alto tasso di rischio “esplosione”. Perché c’è di mezzo la crisi russo-ucraina, le scelte di politica internazionale degli U.S.A. e dei suoi “alleati” europei, le sanzioni economiche alla Russia, tra cui la volontaria decisione di declassarla come fornitore di gas, e le “ripicche” della Russia che comincia a chiudere i rubinetti del gas utilizzando la risorsa energetica come “leva” per raggiungere i propri obiettivi geopolitici. 

E le elezioni? Non vorremmo mica prescindere dalle elezioni e, soprattutto, dalle promesse della campagna elettorale, per affrontare un tema così importante e delicato. Proprio in questi giorni, è tutto un battagliare sul “price cap”, tetto al prezzo dell’energia, contributi alle famiglie e alle aziende, e chi più ne ha (o ne riesce ad immaginare) più ne metta. “Non si può più fare a meno del nucleare”, tuona qualcuno, aggiungendo che, in quanto energia pulita, è l’unica che può farci raggiungere gli obiettivi di zero emissioni di CO2 nel 2050 (fra circa 30 anni, ndr, mentre il prossimo inverno è alle porte e così sono alle porte i problemi concreti per centinaia di milioni di cittadini europei). Qualcun altro sostiene che in 3/5 anni ci si possa riconvertire quasi completamente alle energie rinnovabili, sganciandosi anche dalla dipendenza energetica dalla Russia e da altri Paesi fornitori, quando sono decenni che ci si muove a passo di formica continuando a garantire consumi (e introiti) al settore dei combustibili fossili.

Mentre sembra ormai ineluttabile “la tragedia dell’acqua calda” (no, purtroppo non è una battuta) a partire dal prossimo ottobre, si scorgono manovre e movimenti in sottofondo apparentemente legati alla tempesta che c’è in superficie, presumibilmente atte a “cogliere l’occasione” per portare a termine importanti cambiamenti, sia in ambito economico e politico sia in ambito sociale. In quella società che sembra, oggi, veramente destinata ad uno scossone da terremoto almeno di magnitudo 8.0 Richter, dopo il quale bisognerà provare a far rinascere, dalle macerie, una qualche forma di riorganizzazione politica, economica e sociale. In pratica, “grazie” alle emergenze pandemiche (che ormai sono ricorrenti), alle crisi internazionali e alle guerre, al dibattito sulle energie e la necessità di affrontare, secondo alcuni immediatamente e nettamente, il “climate change”, c’è qualcuno che pensa di utilizzare tutto questo per cogliere uno stormo di piccioni con un pugno di fave. Forse, non è questo il modo corretto di affrontare tutti i problemi che abbiamo oggi nel mondo. O forse, è proprio questa la ragione per cui questi problemi esistono ed insistono, tutti insieme, in quest’unico momento storico.

Giampiero Ledda

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